martedì 25 dicembre 2012

Notte bianca - White night


Una abbondante distesa di neve immacolata ricopre prati e boschi nella notte fredda. Il manto bianco, come una morbida coperta, avvolge e nasconde la terra e le piante.

Ovunque il silenzio regna sovrano e la luna piena come un faro illumina la scena con la sua luce chiara.

L'aria è immobile, quasi assente, e il cielo nero e profondo brilla di milioni di piccole stelle lontane.

Sul limitare del bosco, ai piedi di un albero robusto, una lepre, con gesti rapidi ma pazienti, fruga fra la neve alla ricerca di un po' di cibo.
Le lunghe orecchie tese, come attente sentinelle, registrano il silenzio della foresta. E gli occhi grandi e veloci guizzano tutto intorno scrutando i dettagli immobili dell'area circostante.

Qualche balzo sulla neve e la scia di impronte leggere si snoda con un nuovo tratto.

Fra i rami secchi di un cespuglio ecco una noce. La lepre si avvicina con circospezione e inizia a rosicchiarne il guscio curando sempre di non fare troppo rumore.

D'un tratto un nuovo aroma pervade le sue narici. La lepre alza il capo e getta lo sguardo sulla piana bianca che la separa da una collina. Alla fine della distesa si scorge l'origine di un sottile fumaiolo chiaro che sale dritto verso il cielo, senza perturbazioni.

Ancora un breve istante di riflessione, poi la lepre decide di attraversare il prato innevato.

Le zampe veloci scattano come molle meccaniche. Piccoli sbuffi bianchi si alzano ad ogni balzo.
Una breve sosta a metà tragitto. Il corpo statico e le orecchie sempre vigili. Ora gli occhi percepiscono un vago bagliore di una luce più calda di quella lunare, bianca, riflessa dalla neve.

La corsa riprende. La base di quel rigo di fumo verticale è vicina.

La scia di impronte che parte dal bosco attraversando la radura antistante, si dirige quindi verso una legnaia coperta dove la lepre si ferma a riprendere fiato studiando quel nuovo ambiente.

Quell'aroma che l'aveva guidata fino a lì è ora molto intenso. Un misto fra legna che brucia e biscotti nel forno.

Una luce gialla proietta una forma di trapezio sulla neve: una finestra illuminata.
Rumori di stoviglie e voci umane, smorzati dai muri, giungono all'esterno della casa: una piccola baita di pietra e legno.

Poco discostata, una fontana gelata, ricavata da un tronco scavato. La parte alta della fontana offre un piccolo spazio orizzontale elevato.

Con esperti balzi misurati, l'animale raggiunge la piattaforma e si immobilizza guardando in direzione della finestra.

Una signora sta apparecchiando una tavola imbandita, mentre un uomo riattizza il fuoco del camino con nuova legna.

In un angolo del tavolo, una piccola bambina dai capelli biondi e ricci sta disegnando su un foglio con una matita colorata.

Poco più in là un grosso albero verde pieno di fiocchi e  addobbi luccicanti.

La lepre prova una intensa sensazione, come di pericolo imminente. Girando di poco le pupille ritorna sulla bambina e nota che ora la sta fissando di rimando.

Per alcuni lunghi secondi i due non distolgono lo sguardo. La prima onda di paura lascia il posto a un reciproco stupore...
Poi la bambina abbassa gli occhi e si muove. Scende dalla sedia e sparisce alla vista della lepre che per qualche istante insiste con lo sguardo sul posto vuoto al tavolo aspettandosi il suo ritorno.

Altri lunghi attimi di attesa poi, con un movimento lento e silenzioso, la porta di casa si apre.
La lepre curiosa scruta la lama di luce che si allarga combattendo con ansia l'istinto di conservazione che la spingerebbe a fuggire via.

La figura della bambina appare, si muove lentamente, si abbassa e appoggia qualcosa sulla soglia.

La lepre è sempre immobile sulla fontana osservando gli eventi con grande interesse. E quando gli occhi si abituano alla luce che filtra dalla porta, l'animale intuisce che quelle sulla soglia sono carote.

La bimba ne raccoglie una e la porge con grazia verso la lepre.
Ancora attimi di circospezione, poi l'animale rompe gli indugi e scende dalla fontana.

La bambina intuisce le sue nuove intenzioni e sorride. Sistema la carota accanto alle altre e indietreggia leggermente.

La lepre si avvicina facendo brevi tratti interrotti da frequenti pause.
Giunta finalmente sulla soglia, agguanta una carota e prende a sgranarla avidamente.

La bambina, inginocchiata e con le braccia incrociate davanti alle ginocchia, spalanca un grande sorriso soddisfatta per il successo conseguito.

La lepre, terminata la prima carota, passa alla seconda...

In casa, intanto, la signora che apparecchiava la tavola, avverte l'aria fresca che soffia verso l'interno, piegando le fiamme delle candele natalizie e creando un forte risucchio nella canna fumaria del camino…

"Maya, cosa fai sulla porta?" chiede ad alta voce senza distogliere lo sguardo dalla tavola.

La lepre si immobilizza per un istante e un attimo dopo corre come un fulmine schivando la fontana, verso la legnaia poi sulla piana bianca e infine scompare nel bosco fra i rami degli alberi appesantiti dalla neve.

La bimba, ancora ferma sulla porta, si alza in piedi. Dopo avere inseguito con gli occhi quella corsa forsennata attende ancora qualche istante aspettandosi qualche evento ulteriore…

Con un tonfo sordo un grosso abete lì vicino si scrolla di dosso un gran carico di neve. Frusciando, una nuvola bianca si alza e circonda quella piccola valanga. Poi, in breve, tutto torna silenzio.

La bambina indugia qualche istante osservando i resti delle carote sulla soglia. Sua mamma la raggiunge e le appoggia una mano sulla spalla… "Cosa c'è Maya?"… e lei: "Niente, mamma, ora chiudo."

È felice, Maya, per quel piccolo gesto. Aveva potuto aiutare un povero essere affamato e spaventato. Non si erano mai incontrati prima e tuttavia la lepre sentiva di potersi fidare. E la sua fiducia era stata premiata.

È mezzanotte della vigilia di Natale.
La famiglia si riunisce e celebra la nascita e i sentimenti di fratellanza e condivisione. Nel cuore di Maya c'è un angolo con alcune carote e una lepre che si avvicina saltellando nella notte bianca…



giovedì 20 dicembre 2012

2012 Auguri... - 2012 Best Wishes...


ai medici: siete eroi in incognito,
agli infermieri: siete angeli sulla terra,
a chi sta lottando: non mollare,
a chi mi è vicino: è un onore esserti amico,
a chi mi volta le spalle: vorrò incontrarti ancora,
a chi non mi capisce: parliamo,
a chi mi ama: insisti più forte,
a chi soffre: continua a sperare,
a chi ho perso: mi manchi terribilmente,
ai miei genitori: sto ancora crescendo,
alle mie figlie: state già crescendo,
a mia moglie: andiamo avanti,
alla morte: non adesso,
al sole: torna presto dentro di me!





giovedì 13 dicembre 2012

Quale destino? - But what destiny?


È destino.
Quante volte l'ho pensato?
Non ho colpa: è il mio destino.
Facile.

La vita ha il suo corso.
Altra giustificazione.
Cosa posso farci: è la vita.
Comodo.

D'accordo: se mi investe un macigno,
per forte che io sia
resto sotto… mi arrabatto
e mi sforzo, potendo, di venirne via.

Quando invece sfuggo a un impegno,
per forte che io dica che sia,
resto fermo e invoco il destino:
"È tutto già scritto, non è colpa mia…"

Sono ipocrita con me stesso?
Sì, se non reagisco.
Un primo smarrimento è concesso,
siamo umani, ma poi…

Sono giusto con me stesso?
Solo se mi riconosco, mi rialzo… e lotto.
Sennò 'sto zitto.
E non c'è destino che giustifichi i miei sbagli!




mercoledì 5 dicembre 2012

Il pagliaccio - The clown


Lo spettacolo finisce,
la gente applaude,
sono al centro della pista,
sono il clown.

Risa e grida,
suoni e rumori,
io a braccia aperte,
ricevo le mie beffe.

Che mondo crudele,
il cuore di un pagliaccio,
non è fatto per soffrire.
Il mio scopo è divertire.

Sprofondo nel mio inchino,
osservo le mie scarpe esagerate,
la vista mi si annacqua,
e lentamente mi rialzo…

Famiglie, bambini, vecchi…
Voci e luci tutto intorno…
Assordanti grida… silenziose;
mimi impazziti, boccheggianti e muti.

Non voglio più stare qui.
Saluto, giro sui miei tacchi
e con passo goffo
mi allontano dall'arena.

Il sipario mi inghiotte,
non devo più sorridere.
Abbandono il personaggio,
ora queste scarpe sono un impaccio.

Allo specchio in camerino
vedo ancora la mia maschera.
Tolgo i guanti e la parrucca,
il naso rosso e tutto il trucco.

Riecco me…
La mia faccia stanca,
i miei occhi.
Una luce nuova…

Siamo noi: io e me.
Noi due non ci tradiamo.
La recita è finita.
Ricomincia la vita.



venerdì 30 novembre 2012

Il pianista - The piano player


Era una umida sera di novembre,
le strade erano lucide per la densa foschia.
Novara era buia e stanca.
Grigie figure si affrettavano sotto i portici scuri.

La luna era un pallido alone nel cielo nero,
mentre il mormorio della città giungeva ovattato.
Un vago odore di polvere bagnata
si spandeva dalle fredde pietre dei monumenti.

Il colonnato del centro era alto e solenne.
Al suo interno alcune vetrine emettevano una luce gialla
che sbordava sui muri e sul selciato:
l'american bar del dopocena.

L'insegna era vecchia ma ben conservata
e la vista della sala filtrava fra eleganti tende chiare…
Una coppia di giovani emerse dal buio antistante l'ingresso,
lui spinse la porta e insieme varcarono la soglia.

Dentro c'era un piacevole tepore e si avvertiva profumo di caffè.
Qua e là tavolini rotondi con lunghe tovaglie e una candela al centro.
Clienti… qualcuno sorseggiava un tè, uno leggeva un libro…
Due signore chiacchieravano sottovoce e un militare cercava il cameriere…

Al centro della sala un grande pianoforte a coda nero, lucido:
uno spettacolo per gli occhi e le orecchie.
Un bravo pianista sui cinquanta
si esibiva senza incombere.

La musica era dolce e morbida.
I saliscendi sulla tastiera cullavano i pensieri.
Un finale a tempo di swing
e il passaggio al brano seguente…

Con occhi assenti il pianista osservava le proprie mani.
Un cameriere gli si avvicinò col vassoio
e appoggiò un bicchiere di vino sul pianoforte.
Con un cenno della testa il musicista ringraziò.

Un altro brano ebbe inizio… la sala manteneva il suo brusio.
Il pianista allargava la sua musica,
il locale lo circondava con distacco
e il tempo scorreva lento e indifferente.

Decine di vite si incrociavano in quel bar.
Storie di incontri, amicizie, amori…
Il progredire delle cose…
Come un cammino silenzioso.

Vivevano tutti con un sottofondo comune:
il suono buono del pianoforte di un pianista generoso,
muto e discreto… quasi assente,
solo con se stesso e la sua musica.




giovedì 15 novembre 2012

L'aquilone - The kite


Sono un aquilone,
ho colori sgargianti,
un grande sorriso
e una lunga coda snodata.

Quando il vento mi investe,
il filo si tende
e io salgo alto nel cielo...
sento di essere libero.

Buffo paradosso:
il filo che mi lega
mantiene la sua presa,
ma io mi libro nella mia illusione...

Sono felice in quota,
il mio sorriso volteggia,
ballo piroettando intorno,
la mia coda serpeggia nell’aria...

Poi uno strattone,
il filo mi trascina giù!
Non voglio abbassarmi,
ma non ho scelta!

Lascio il cielo,
lascio il mio sogno,
scendo inesorabile,
mollo, mi arrendo...

Tocco il suolo capovolto,
il mio sorriso è rovesciato,
l'espressione è quella opposta,
la mia coda ora frusta il prato.

Quel filo ambiguo!
Adesso intuisco il gioco:
mi illude e mi governa.
Laccio maledetto!



martedì 13 novembre 2012

Riflessi e riflessioni - Reflexes and reflections


Ero un bambino,
mi affacciavo sullo specchio d'acqua nel parco,
con un dito formavo cerchi di onde,
il mio viso riflesso faceva smorfie impossibili.

Ero un ragazzo,
scrutavo la pelle della fronte nello specchio del bagno,
con un rasoio passavo sulle guance arrossate,
il mio viso riflesso era gioia di vivere.

Ero adulto,
uno sguardo alla faccia nello specchio dell'autogrill,
con le mani rinfrescavo il collo accaldato,
il mio viso riflesso era stanco di guidare.

Ero malato,
alzavo la testa glabra davanti allo specchio del bagno d'ospedale,
con le mani torturavo le profonde occhiaie scure,
il mio viso riflesso era una maschera irriconoscibile.

Ora sono guarito,
scorgo la mia immagine su una vetrina,
con le braccia forti e il passo sicuro,
il mio corpo riflesso si muove e vive.

L'altro me, nei miei riflessi, è cambiato tanto.
L'altro me, nelle mie riflessioni, comincia ora il suo mutamento.





lunedì 5 novembre 2012

La barca - The boat


Il fulmine e il tuono insieme,
la tempesta è vicinissima,
il mare è in burrasca,
alti cavalloni d'acqua si inseguono ovunque.

La pioggia battente aggiunge acqua all'acqua,
creste di schiuma bianca scivolano verso l'alto,
mentre si formano profonde gole impetuose;
le onde si contorcono e sbattono…

Là in lontananza una luce fioca,
una piccola lucciola nel buio della tempesta;
resiste testarda allo scuotimento incessante,
sparisce e riappare fra le mura d'acqua scura.

È una barca, un peschereccio,
chissà come in quel tormento.
La campana sul ponte suona impazzita,
scossa da mani invisibili.

Al timone un pescatore,
con le dita strette sulla ruota,
grida, quasi per fronteggiare
il mostro che impera là fuori.

Una valanga d'acqua lo investe;
lui per un momento annega,
poi riprende fiato
con un urlo all'incontrario.

La barca si impenna,
risale una parete d'acqua;
la pioggia orizzontale invade la cabina,
la prua punta al cielo.

Poi l'onda si ritira,
le eliche frullano a vuoto,
lo scafo è sospeso…
Il tempo è sospeso…

Un fulmine squarcia l'aria,
la luce imbianca la scena,
il tuono rimbomba nella sentina,
la barca si torce e precipita.

Attimi di terrore cieco,
il pescatore chiude gli occhi abbagliati,
la prua ora punta verso il mare;
ampie fauci d'acqua spalancate attendono lo scafo.

Con un tonfo sordo l'imbarcazione si immerge,
tutto intorno è acqua,
il pescatore si artiglia al timone,
il corpo strattonato dai flutti.

Il rombo ovattato dei motori insiste sott'acqua,
il pescatore stringe i denti e prolunga lo sforzo,
i suoi polmoni protestano per il bisogno d'aria,
la barca arranca verso la superficie.

E finalmente, con un tuffo dal basso,
riemerge in quell'inferno in burrasca,
il pescatore respira disperatamente,
l'aria lo riporta al mondo.

Quel mondo così arrabbiato e scuro,
dove il sopra si mischia col sotto,
il giorno sembra notte
e salvarsi pare una lotta persa…

L'uomo si scuote l'acqua di dosso,
osserva il giro di orizzonte tutto intorno,
spinge lo sguardo sui dettagli più lontani;
quella superficie imbizzarrita sembra estendersi all'infinito.

Un lampo, un altro… c'è qualcosa là a dritta;
è un bagliore regolare, non uno scherzo della mente.
L'impulso luminoso insiste… sembra un faro,
la luce si avvicina… e gradualmente… si sfoca…

La pioggia finisce,
il vento si ferma,
le acque si calmano,
la barca non beccheggia…

Apro gli occhi… sono sudato e stanco.
La mia stanza d'ospedale, il mio letto;
è ancora notte, c'è silenzio e quiete.
Devo calmarmi…

Ripenso a quel sogno,
Ero il pescatore coraggioso?
No, ero piuttosto quel piccolo natante resiliente.
Caparbio e ostinato a sopravvivere e a lottare ancora.



martedì 30 ottobre 2012

Ciao - Bye


Finisce così,
    il silenzio si spande,
    gli sguardi si abbassano,
    la tua anima si alza.

Ora sei libero,
    niente più ostacoli,
    sorridi sereno,
    riposa in pace.



lunedì 29 ottobre 2012

Davanti ai fatti importanti della vita… - In front of the important things of life...


C'è chi non si scompone, incassa il colpo e procede,
c'è chi vacilla, dubita di potercela fare ma ci prova,
c'è chi depone le armi e si arrende,
poi c'è chi lavora su se stesso per conviverci.

Questi ultimi sono interessanti:
imparare a convivere con un dolore,
accostarsi al nemico per vanificarne la forza,
tenere un profilo basso e annullare ogni reazione…

Attendere sperando in un miglioramento,
senza agire per provocarlo,
osservare gli eventi,
stando fermi al proprio posto.

Prevalenza della mente sul cuore,
una idea razionale che insiste,
superando il naturale istinto
a mettersi autonomamente in salvo.

Fatalismo? Rassegnazione? Sopportazione?
Arrendevolezza? Remissività?
Come definire questo atteggiamento?
La funzione passiva sembra prevalere.

Accettare passivamente è pericoloso,
il rischio è di tollerare, accogliere,
giustificare e quindi approvare,
azzerando infine la tensione verso il cambiamento.

Le battaglie di chi affronta i propri mostri
sono tribolazioni che logorano,
meglio però la chiarezza di intenti
rispetto all'ambiguità di una quiete artificiale.



domenica 14 ottobre 2012

A un amico coraggioso - To a courageous friend


Non ti conosco bene ma so che sei un tipo tosto.
So che prendi la vita come una sfida continua,
so che ora stai lottando contro un nuovo avversario
e so che questa volta sarà una resa.

Ma tu saprai accettare anche questo,
con la forza e la dignità che hai sempre avuto.
E quando sarà il momento assoluto,
ci stupirai ancora prendendo la ricorsa prima del balzo.



martedì 9 ottobre 2012

La consapevolezza - Awareness


Quando vivi sei sempre preso dalle cose,
Corri e pensi a correre,
La vita ti accompagna e ti asseconda,
E tu senti che non può che essere così.

Quando ti ammali tutto immediatamente perde senso,
Fermi la corsa e pensi,
La vita ti sembra meno scontata e amica,
E tu senti che non può essere così.

Poi c'è un momento preciso,
Dove senti che sei in bilico,
Di qua si vive, di là no,
La vita contro la morte.

In quel momento di buio e silenzio ti fai tante domande,
E se me ne vado? Cosa resta di me?
Qual è il segno del mio passaggio?
Che vita ho vissuto? Sono stato giusto?

Quando ti avvii alla guarigione senti il rumore della vita che riparte,
Le ossa e i muscoli si risvegliano,
Gli occhi scoprono un nuovo orizzonte,
E la speranza ti scalda forte il petto.

Fai qualche passo oltre il baratro,
Le tue gambe ora ti reggono bene,
Guardi indietro: il tuo passato e i tuoi errori,
Poi avanti: il tuo futuro e una nuova strada.

Non hai più dubbi: prosegui,
Ma ora non sei più solo,
Hai una nuova compagna,
Si chiama consapevolezza.

La vita oltre la morte è diversa,
E' una vita consapevole,
E' più saggia e ponderata,
Non necessariamente più facile.

venerdì 28 settembre 2012

Ho portato il culo a casa! - I brought my ass home!


Quando ero un ragazzo suonavo la fisarmonica in un gruppo folk.
Giravamo accalcati in un furgone imbottito di strumenti musicali facendo spesso anche parecchia strada.
Alla fine delle serate, dopo avere smontato tutto, il furgone ci riportava al punto di ritrovo.
E da lì ciascuno di noi tornava a casa con la propria auto.
Mi ritrovavo, giovanissimo, a guidare a notte fonda, distrutto dalla fatica, arrancando per tornare tutto intero.
E quando finalmente svoltavo sulla via di casa dicevo fra me e me: "Ho portato il culo a casa!".

Poi venne il giorno della partenza per il servizio militare.
Per non gettare un anno alle ortiche scelsi di fare uno sforzo in più e mi iscrissi al corso Allievi Ufficiali di Complemento: cinque mesi di corso a Roma (marce, esercitazioni, guardie al Quirinale, ...), e poi altri dieci mesi di servizio da Sottotenente a Bellinzago in provincia di Novara (prontezze operative, campi, simulazioni di guerra, ...).
Il giorno del mio congedo, a fine periodo, ero stanchissimo: ero appena smontato da un servizio di picchetto.
Ero in macchina e guidavo indossando ancora la divisa da combattimento.
E di nuovo svoltando sulla via di casa dissi fra me e me: "Ho portato il culo a casa!"

Mi misi a fare il rappresentate. Vendevo telefoni cellulari quando ancora erano prodotti di avanguardia.
Nelle case c'erano i telefoni grigi della Sip e io avevo un nuovissimo apparecchio trasportabile Panasonic che era grande come un dizionario.
Quando chiesi quale zona geografica avrei coperto mi risposero: l'Emilia Romagna!
E allora presi a spazzolare l'autostrada fra Piacenza e Cesena macinando centinaia di chilometri ogni giorno.
Tutte le sere il viaggio di ritorno era una lotta contro i colpi di sonno.
E svoltando, finalmente, sulla via di casa dicevo fra me e me: "Ho portato il culo a casa!"

Poi venne la leucemia. Dalla sera alla mattina mi ritrovai in ospedale in fin di vita.
Mi imbottirono di farmaci. Mi fecero la radio terapia e diverse chemio.
Subii il trapianto di midollo e i tremendi effetti dell'aplasia midollare.
Il giorno delle dimissioni pesavo 55 kg e faticavo a reggermi in piedi.
Mia moglie mi accompagnò con la macchina.
E ancora una volta, svoltando sulla via di casa dissi fra me e me: "Ho portato il culo a casa!"

mercoledì 26 settembre 2012

Il "dopo" - After


Al day hospital oncologico...

Arrivo più tardi del previsto: sono quasi le otto del mattino.
La sala d'attesa è piena... al banco ritiro il numero del mio turno: 104...
Tendo l'orecchio... "Il signore con il numero 12 è atteso in sala prelievi"... ecco, siamo solo al 12... sarà lunga...
Cerco una sedia... trovo posto in un angolo.

Accanto a me una signora anziana al telefono... "... ciao Luisa... sì sono qui dalle sette... eh, stanotte non ho dormito... mi fa male la schiena... sì ho preso l'Aulin...  perché? no, la dottoressa mi ha detto l'Aulin... come? La caviglia? Adesso la muovo bene... sì Luisa, non stare in pena, arriviamo... ecco Gino... ha fatto il prelievo, vado da lui, ciao..."

Poco oltre, un uomo discute con la moglie: "Ti dico di no! Non ci andiamo al mare da tua madre..." Lei: "Abbassa la voce! ... ma perché sei così testardo?" e lui: "E' un mese che te lo ripeto... non ci andiamo e basta... dove vai?"
La moglie, con uno scatto si alza, lo guarda e gli fa: "Vado a prendere da bere! Tu adesso ti calmi altrimenti me ne vado!" e si allontana puntando i tacchi con passi nervosi...

Due file di lato, una ragazza con la mascherina e un foulard a fiori per coprire la testa senza  capelli parla a bassa voce con sua madre: "Ieri la terapia, oggi il prelievo e l'aspirato... ormai passiamo più tempo qui in ospedale che a casa!"
Sua madre le risponde: "Sì, però sta andando tutto bene... vedrai che presto verremo meno spesso... Sistémati il foulard..." e con un movimento della mano le sposta il nodo di stoffa sulla nuca...

Arriva un signore decisamente sovrappeso: ha la barba e i capelli bianchi, disordinati e lunghi. Borbotta qualcosa ma non capisco... Indossa vestiti trasandati e scarpe da ginnastica slacciate. Gira cautamente su se stesso con piccoli passi... Dietro di lui scorgo un'altra persona. Ha l'aria di una ragazza ma è in età pure lei: capelli lunghi e grigi fino alle spalle, un gilet viola con una spilla a fiore, pantaloni bianchi sporchi e degli stivali di pelle consumati.
Lei lo accudisce amorevolmente con gesti dolci e sussurrandogli parole incomprensibili all'orecchio. Si siedono vicini e lui prende a giocare con il biglietto su cui è scritto il numero del turno...

Dalla porta della sala prelievi esce un signore sui settant'anni. Ha un passo elastico e veloce. Con una mano preme il tampone di cotone nell'incavo del braccio sinistro. Ha un'espressione fiera e mostra due file di denti allineati e bianchi...

In piedi, appoggiato a una colonna di cemento, c'è un uomo distinto dall'aspetto curato. Indossa un abito scuro con con una cravatta blu e belle scarpe di cuoio. Armeggia con il telefono cellulare leggendo con le labbra le lettere del messaggio che sta componendo...

Sullo sfondo due dottoresse attraversano l'ingresso chiacchierando allegramente. Hanno in mano il bicchiere di plastica con il caffè fumante della macchinetta. Le loro falcate sono lunghe e veloci e i camici bianchi svolazzano come mantelli... Una risata e spariscono inghiottite dalla porta del reparto...

Intanto l'altoparlante annuncia: "Il numero settantaquattro in stanza due"... un signore che parlava si interrompe e aggrotta la fronte: "Cos'ha detto?" ... parte la ridda delle ipotesi fra i presenti: "Ha detto sessantaquattro...", "No... era settantadue in stanza quattro"... poi uno alza la voce: "Ottantanove in stanza H!"
Io sorrido... Dopo qualche istante una infermiera apre la porta del reparto: "Settantaquattro, sette quattro in stanza due... dov'è il settantaquattro?"
Un signore molto anziano si alza con movimenti lenti e misurati. Richiude il giornale e raccoglie il cappello... il bastone scivola a terra facendo un gran fracasso, lui si abbassa al rallentatore e lo afferra... Poi con passo asimmetrico si avvia seguendo l'infermiera...

Un ragazzo con una maglietta stampata e i jeans a vita bassa ritira il proprio numero al banco d'ingresso e si guarda intorno per cercare un posto libero. Porta occhiali da sole e un cappellino rosso con visiera, scarpe sportive basse con lacci colorati e, stretto in mano, un telefonino che vibra insistentemente... finalmente risponde... "... oh Giò... c'è un casino di gente... eh... vai dalla Lu? ... ok dalla Lu... Giò, chiama Fede... ok... ciao... ciao..." ... individua una sedia e ci crolla letteralmente sopra stendendo una gamba di lato e ripiegando l'altra sotto la seduta. La guancia appoggiata su una mano e il telefonino nell'altra: il pollice già guizza sui tasti...

Il brusio di fondo si intensifica: adesso la sala d'attesa è davvero affollata. Quando l'altoparlante chiama un nuovo numero c'è una breve sospensione... poi le voci riprendono...

Guardo le facce della gente...  ci sono ragazzi, donne, uomini, anziani, stranieri... operai, impiegati, imprenditori, pensionati... Ciascuno di essi a un certo punto della vita ha incontrato un ostacolo e ha dovuto iniziare a combattere.
Alcuni hanno dovuto accettare nuove abitudini: medicine da prendere tutti i giorni, controlli periodici, fastidi fisici...
Altri devono prendere questi appuntamenti all'ospedale più seriamente... per sopravvivere...

Il pensiero ritorna ai miei giorni in reparto, quando anch'io lottavo per sopravvivere...
Magro, debole, senza capelli.... con tre infusioni contemporanee, un mal di schiena micidiale e le mucose devastate...
Mi chiedevo cosa sarebbe successo dopo... non riuscivo a immaginare come ci sarei arrivato al... "dopo".
Incapace di camminare, mangiare e parlare mi sembrava già tanto ogni sera poter aggiungere un altro giorno alla lenta conta quotidiana...

Il vocio si abbassa, ecco l'annuncio: "Il signore con il numero 104 è atteso in sala prelievi."... tocca a me.
Un momento... E' adesso! Improvvisamente realizzo che... mi trovo nel "dopo"!
Sono oltre le terapie, oltre il trapianto, oltre la lenta e penosa ultima risalita...
Ce l'ho fatta e sto bene, finalmente! Ora faccio solo i controlli...

Felice, alzo la manica della camicia e mi avvio verso la sala prelievi...

venerdì 21 settembre 2012

A Giovanni - To Giovanni


Ti do del tu, Giovanni, solo ora che non ci sei più.
Una confidenza che non mi ero mai permesso.
Tu, mio nuovo padre... Io, tuo nuovo figlio.
Le nostre belle passeggiate per caffè,
chiacchierando nell'aroma dolce della tua pipa...

Hai avuto una storia tormentata,
fra i tuoi doveri di giudice giusto
e le rivoluzioni della famiglia.
Fra una battuta di acuto spirito
e l'intenso amore per l'arte e la cultura.

Apprezzavi la vita con un velo di pessimismo,
la malinconia del curioso insoddisfatto del presente.
E avevi quel modo tutto tuo di rispettare la gente,
con l'amicizia sempre davanti a tutto.

Hai rinunciato ad assecondare il tuo mondo che cambiava,
rifiutando le storture che tollerava.
Un esempio di integrità morale,
che rifugge il compromesso.

Poi la vita è stata severa con te,
e ti ha inflitto una pena crudele.
Una malattia che annichilisce
e per la quale non c'era cura.

La prima cosa persa fu la parola,
la tua dote più brillante,
poi si fermarono le braccia...
e poi le gambe.

Giacevi disteso sul tuo letto,
e con gli occhi urlavi la tua disperazione.
Ma con un filo di vita nei polmoni,
spostando un punto invisibile su un alfabeto,
eri tu che chiedevi a me: "Come stai?"

Poi venne la notte più buia,
e la tua anima si liberò di quel corpo esausto.
Io piansi tutto il mio dolore,
da nuovo figlio ero un nuovo orfano.

Non ce l'ho con la morte perché ti ha preso,
ce l'ho con il destino che ha voluto che avvenisse in quel modo.
Sul rimpianto per averti dovuto lasciare
prevale l'onore di averti potuto incontrare.

Ciao Giovanni.

venerdì 14 settembre 2012

Luce - Light


Sei il primo segno di vita
  Sei il chiarore del mattino
    Sei la speranza nella fede
      Sei il sentiero dei giusti
        Sei la scintilla dell'amore
          Sei il nuovo pensiero
            Sei il lume della ragione
              Sei il sole che scalda
              Sei l'arcobaleno che consola
            Sei il tramonto che resiste
          Sei la prima stella
        Sei il faro sullo scoglio
      Sei la luna bianca
    Sei la lampada accesa
  Sei il cero di una vita spesa
Sei la meta dopo la morte

La luce è vita
La vita è luce
Ti cerco luce
Ovunque tu sia

mercoledì 12 settembre 2012

Fotografie - Photographs


Ho un po' di tempo libero... chiudo gli occhi e apro il cassetto dei ricordi...
Sfoglio le mie fotografie...


Qui sono sdraiato sul pavimento del bagno... ero appena svenuto...
Non avevo la minima idea di cosa avrei passato nei mesi successivi...

Ecco... in questa  c'è la faccia impallidita della dottoressa dopo avere letto i valori del primo esame del sangue...

Qui ci sono io sul letto e mia moglie, lì accanto. Mi aveva appena detto che avevo la leucemia e una grossa infezione ai polmoni... che botta!

Poi... vediamo... ah sì... qui è notte e sto respirando con la macchina per la ginnastica polmonare, un periodaccio...

E questa è mia moglie... dorme sulla poltrona accanto al mio letto. Io ho gli occhi aperti perché non riuscivo a dormire e allora la osservavo...

Ah, qui c'è Toni, l'infermiere amico, che apre la porta preoccupato perché dal corridoio mi sentiva ridere! Avevo trovato un programma alla TV che mi faceva sbellicare... ah ah ah...

Ce ne sono altre... ecco, questo è il Dott. Forghieri che spalanca la porta e tutto raggiante quasi grida: "Ho una ottima notizia per lei: il midollo di suo fratello è compatibile!"... eh eh eh... Forghieri... di solito sempre così compassato...

Ah... poi c'è questa... qui due infermiere, Betta e Anna Maria, mi stanno lavando... ero talmente debole da non potermi muovere...

Questo è Leonardo: il mitico Dott. Ferrara. Qui accosta la porta e fa capolino dalla soglia dicendo: "Ciao Alfie!! Ho saputo che fai progressi! Ti saluto da qui che sono pure raffreddato... Dai! Metticela tutta!!"...
Ci vediamo e sentiamo ancora oggi Leo e io...

Qui Ferruccio, un altro infermiere, nel cuore della notte entra, non chiamato, per vedere se è tutto ok. Aveva visto da fuori la luce accesa nella stanza filtrare sotto la porta... che bella persona!

Poi... ah sì... questa è la Dott.ssa Fantuzzi, una ragazza carina e con modi molto gentili. Qui stava facendomi un midollo... una aspirazione di sangue midollare dalla schiena... con gli altri dottori ho quasi sempre sofferto, con lei mai...

E qui c'è Carla, un'anima solare... mia moglie e lei si facevano lunghissime chiacchierate... Gli infermieri aiutano tutti: pazienti e famigliari...

Ah, e c'è anche Ilaria... la costanza fatta persona. Estenuanti turni interminabili a ripetizione e lei, sempre presente con quel sorriso disarmante...

Questo è mio fratello che mi viene a trovare... sono le 6 del mattino... lui per venire a trovarmi si alzava alle 5, faceva una doccia veloce e si precipitava da me... era inverno e spesso c'era la neve...

E questa invece è mia sorella... anche lei faceva orari incredibili per passare da me... le discussioni quando c'era la nebbia e lei voleva mettersi in strada con l'auto nuova...
Una volta mi portò una foto a grandezza naturale delle mie bimbe che mi mancavano tanto...

Poi c'è Maria: l'infermiera più precisa che ci sia! Lei conosce le procedure e le manovre più strane e difficili... e riprende i colleghi se fanno piccole sbavature... In questa immagine sta medicando il mio PICC, quel tubicino che entra nel mio braccio destro e raggiunge la succlavia nel collo... serve per le infusioni e per i prelievi...

Questa è Chiara, la psicologa. Abbiamo parlato molto io e lei (tanto non avevo altri impegni!)... Mi salutava sempre con una stretta di mano prima di andarsene: una piccola deroga al regolamento, ma anche un breve contatto umano molto importante per me...

Qui sono immobile sul letto e il Professor Narni mi sta parlando... ero paralizzato dal malessere e lui mi incitava a reagire. Procedere a piccoli passi, diceva... I miei passi erano molto piccoli in effetti...

Ah, qui ci siamo io, mia moglie e Giovanna, una delle infermiere più simpatiche... infatti stiamo tutti e tre ridendo... lei ti racconta sempre di sua figlia e trova una morale universale dietro qualsiasi cosa... Giovanna porta le bottiglie con la terapia ma ti fa sempre anche una bella iniezione di ottimismo...

Ecco, poi qui ci sono i miei genitori... mia madre seduta e mio padre sempre in piedi, con le mani strette sul tubo ai piedi del letto, quasi volesse provare a scuotermi...
Hanno sofferto molto vedendomi in quelle condizioni... cercavano di non darlo a vedere ma non gli riusciva...
E io cercavo di apparire meno sofferente... ma anche me non riusciva...

In questa io sono quello avvolto nelle coperte sulla barella a ruote... i ragazzi del trasporto mi stavano trascinando lungo i corridoi sotterranei... andavo a fare l'ennesima radiografia o TAC... c'era un freddo cane...

Oh... questa è bella... i medici in parata davanti al mio letto per la visita quotidiana. In prima fila la mia amica Dott.ssa Monica Morselli, occhi chiari e sorriso luminoso... la conoscevo da ragazzo e l'ho ritrovata qui; il Professor Luppi con quei capelli ribelli e la barba scura, un vero leader; il Dott. Forghieri, la Dott.ssa Fantuzzi... e qualche praticante...
Parlottavano a bassa voce fra di loro e poi uno prendeva la parola ed elencava valori, terapie, misure e contromisure... Non sempre capivo tutto, eh eh eh...

Ah qui è la mia prima uscita dopo mesi di ricovero... è il giorno della prima comunione delle mie bimbe... tutta la famiglia intorno al tavolo in parrocchia, dopo la cerimonia... avevo quella specie di lanuggine al posto dei capelli... ed ero anche molto magro e debole...

In questa sono nel reparto di chirurgia toracica: all'ultima TAC, prima dell'uscita per i giorni di Pasqua, c'erano delle ombre scure nei polmoni. Il Dott. Potenza, ottimo medico ma piuttosto pignolo, con la Dott.ssa Paolini, mi aveva anticipato che al rientro da quei pochi giorni a casa, avrei fatto una biopsia polmonare (anestesia totale, tre buchi nel costato, un polmone fermo, prelievo di un campione, riavvio del polmone, sutura..)! Ma poi, come in un film, all'ultimissimo minuto, prima di andare in sala operatoria, mi fecero, su insistenza dello stesso Potenza, una ultima TAC di verifica...
Insomma: allarme rientrato e pianto liberatorio... qui sono al telefono con mio fratello... all'altro capo lui piangeva nel suo negozio...

Questo qui, invece, è Gino. Mi hanno messo in stanza con lui. Era un paziente sessantenne di oncologia in prestito in ematologia. Aveva qualche problema di memoria e ripeteva sempre le cose... Si lamentava molto Gino, poveretto: aveva un gran mal di schiena...

Poi, ecco... questo invece è il mio nuovo compagno di stanza: Alberto. Siamo diventati subito amici. Suo padre, questo signore distinto qui accanto, è stato molto gentile con me.
La domenica si presentava con un vassoio con i migliori piatti della trattoria fuori l'ospedale. Non scorderò mai la prima volta, quando ci portò dei favolosi tortellini in brodo...

Ah, poi questa: qui sono in sala operatoria. Mi stanno impiantando l'Hickman: un catetere venoso centrale... un tubo che dal petto entra in una grossa vena... Serve per le infusioni prima e dopo il trapianto... era la mia prima volta in sala operatoria...

Qui io e mia moglie stiamo infilando cose e vestiti nei sacchetti sterili prima di entrare all'Unità Trapianti... tutto doveva essere pulito e disinfettato...

Ah... ecco, qui sono immobilizzato a quella specie di trespolo di ferro e plastica nel reparto di radioterapia... il Dott. Bertoni e la Dott.ssa Pratissoli, queste due figure che armeggiano con i pannelli di plexiglass, si assicurano che io non possa fare il minimo movimento durante l'irraggiamento...
Incredibilmente c'era un clima disteso e scherzoso, nonostante l'estrema delicatezza e rischiosità della terapia...

E qui... Sophie, una infermiera dolcissima di origini francesi, mi attacca alla mia nuova asta con tre pompe per infusioni... quel groviglio di tubi e raccordi che mi entravano in corpo all'inizio era inquietante... poi ci feci l'abitudine.
La pompa grigia... ecco, questa... emette un forte ticchiettio meccanico costante che punteggia le giornate, ma soprattutto le nottate, eh eh...

Ah, poi c'è Rossella... l'uragano del reparto. Quando salutava il paziente della stanza accanto rispondevo io, tanto era alto il tono della sua voce... ancora sento il suo grido: "Buongioooorno giovanottoooo!!!"
In questa immagine Rossella mi stava spiegando che tutte le volte che andavo in bagno dovevo: mettere dei guanti monouso di vinile, misurare la quantità di urina prima di scaricare, togliere e gettare i guanti, lavarmi le mani e segnare il valore su un modulo di carta... Con tutti i liquidi che mi infondevano andavo in bagno giorno e notte ogni 40 minuti... un vero strazio...

Ed ecco Matteo... l'infermiere con gli occhi azzurri che mi ha portato il sangue midollare donatomi da mio fratello. Qui sta appendendo la sacca all'asta. Per dare la giusta enfasi a quell'istante così simbolico Matteo disse solennemente: "Spegni la televisione e metti su una musica che ti piace..."
Scelsi l'album Long Road Out Of Eden degli Eagles...

E questo ragazzo così alto è Alessandro, un altro infermiere che non scorderò per la sua grande pazienza e disponibilità... ero martoriato da una mucosite devastante e da un mal di schiena martellante... non sapevo dove sbattere la testa e lui, ogni sera, mi portava un po' di tè caldo e si fermava a chiacchierare con me di musica e altri argomenti leggeri... mi distraeva un po'...

Questa invece è la ragazza delle pulizie... non ho mai saputo il suo nome, ma so che ha un figlio maschio che la fa diventare matta... Passava a pulire e disinfettare due volte al giorno e ogni volta mi chiedeva come stavo e se avevo notizie delle mie figlie. Anche questa ragazza ha avuto un ruolo importante nel mio percorso... a modo suo era anche lei una parentesi di vita normale in mezzo a quel lungo incubo...

Poi Pietro, sempre sorridente e di buon umore... e qui Vincenzo, preciso e puntuale nonché estremamente educato: chiedeva sempre scusa e permesso prima di entrare... e anche prima di uscire!

Ah e poi qui sto richiudendo la porta dopo avere raccolto tutte le mie cose sul carrello.
Stavo lasciando l'Unità Trapianti... c'era silenzio ed ero finalmente libero dall'asta per le infusioni... forse un po' malinconico... Ma non rimpiangerò quel posto...

Questa è una delle mie preferite: finalmente di ritorno a casa, sono sulla porta e le mie adorate figliole mi regalano un lunghissimo abbraccio. Io non trattengo più le lacrime... mi commuovo anche adesso...

In questa sono al day hospital con mio padre per le medicazioni all'Hickman... siamo su quelle sedie di legno da ore... in attesa...

Qui la Dott.ssa Pedrazzi con il suo grande sorriso mi fa un mieloaspirato. Un'altra mano felice, per fortuna...

In questa, invece, c'è la Dott.ssa Cuoghi e i suoi capelli corti e rossi... e lo stetoscopio sempre al collo.

E qui ci sono le impiegate al bancone del day hospital: quello dove mi registro quando arrivo per i controlli.
Ricevono migliaia di pazienti tutti i giorni ma una, questa signora che sorride, quando mi vede mi riconosce e mi chiama per nome...

Poi la Dott.ssa Bresciani... così piccola e così grande.  Un altro distillato di precisione assoluta. Perfetta.

Ah... e questo signore è il Dott. Cintori... Lui ama andare in vacanza in Svizzera. Quando gli ho detto che io ci sono nato ha voluto sapere tutti i dettagli. Con Cintori sto rifacendo da capo tutte le vaccinazioni. Ad ogni appuntamento mi fanno due punture sulle spalle.

E questa è Valeria: la Dott.ssa Coluccio... Qui sorride nel suo camice di dottoressa. Lei è tagliata per questo lavoro, sa bilanciare bene fra professione e rapporti umani. Mi mette sempre a mio agio; le visite periodiche assomigliano a incontri fra vecchi amici...

Mentre questa è Lisa: la Dott.ssa Galli, responsabile per il Servizio Psicologia dell'AIL. Qui siamo nel suo studio e ci scambiamo una stretta di mano. Ci eravamo incontrati precedentemente una volta in reparto... un incontro veloce ma significativo. Poi qui ci siamo conosciuti meglio dopo avere ripreso i contatti. Fu Lisa a suggerirmi di aprire un mio blog personale. Il giorno dopo avevo già creato il blog e postato il primo scritto. Sono felice di avere seguito il suo consiglio!


Queste sono solo alcune fotografie fra le tante che mi porto dentro.
Per ognuna di esse c'è un episodio, un aneddoto... e i bei ricordi superano quelli brutti.

Auguro ai miei "compagni di viaggio" di conservare le loro immagini.
Nella vita che segue la malattia saranno più ricchi.
E sapranno sempre che può esserci un universo in ogni gesto... e che c'è un popolo di persone che dedica la propria esistenza agli altri con un tale slancio di impegno e generosità che non si può che restare ammirati...

sabato 8 settembre 2012

Solo... nel mio corpo immobile - Alone... in my motionless body


Aprii gli occhi... ero ancora lì: la stanza bianca del reparto, il bagno, la sedia, il tavolo... Oggetti che potevo scorgere, ma che non “frequentavo” da diverse settimane inchiodato com’ero al letto...

La mia brutta polmonite era stata finalmente domata con ore quotidiane di C-PAP, una macchina che attraverso una maschera calcata sul viso spinge aria nei polmoni e ti obbliga a soffiare forte per svuotarli...

Girai lo sguardo a sinistra, verso le finestre. I disegni delle mie figlie, attaccati ai vetri, davano un po’ di colore alla stanza e mi spronavano a non mollare.
Più oltre, la giornata invernale. Era febbraio e il cielo era grigio ma era possibile che il tempo migliorasse.

Riportai l’attenzione sulla parete frontale. La telecamera di sorveglianza mi controllava con il suo occhio rotondo e nero e, accanto, il crocifisso di legno...

Sentii uno sbadiglio giungermi alla bocca, ma non riuscii ad aprirla...
Sbadigliai come si fa a teatro per non farsi notare...
Cercai di girare la testa... nessun movimento!

Il cuore prese a galoppare. Cominciai a farmi domande: “E’ questo il coma? Sono paralizzato? Resterò sempre così?”

Provai a muovere una mano. Solo le dita accennavano minuscoli tremori. Non provavo alcun dolore. Ero solo... nel mio corpo immobile!

Più tardi entrò l’infermiera per i controlli: “Ehilà, come andiamo oggi?”
Con uno sforzo enorme riuscii a socchiudere la bocca, ma non uscì una parola. Chiusi gli occhi con rassegnazione e sentii una lacrima solcarmi una guancia.
L’infermiera capì e mi rassicurò dicendo che era tutto normale e che presto sarei stato meglio.

Non riuscivo a credere di essere ancora in quelle condizioni dopo tutto quello che avevo già passato...

Vennero a trovarmi i miei genitori, come tutti gli altri giorni.
Provai a tranquillizzare mia madre dicendole di non preoccuparsi... mi uscì un “...n...”.
La vidi sforzarsi di tenere un contegno mentre la disperazione prendeva il sopravvento.
Mi chiese se volevo restare solo. Lentamente abbassai le palpebre... “Sì”...

Trascorsi così, come un tronco abbattuto, diverse ore di quella folle giornata; tornando più volte con lo sguardo su quel cielo immobile, sui disegni muti, la telecamera... e ancora sul crocifisso.  Pregavo... imploravo che accadesse qualcosa...

...entrò il Professore responsabile del reparto...

Dopo una breve visita, con la sua voce ferma mi disse: “Le cure che sta facendo sono molto pesanti... la malattia è grave. La medicina può fare molto ma non tutto. Il resto ce lo deve mettere lei. Prenda un obiettivo possibile e si sforzi di raggiungerlo. Anche solo... arrivare a sera... e poi a domani...”

Io ero a secco: anche scavando dentro, nel più profondo, non sapevo più dove trovare le forze per reagire.

Quando il professore se ne andò entrò mia moglie. Avvicinò la sedia e si sedette.
Senza dire una parola mi prese una mano, la strinse forte e i suoi occhi, dietro la mascherina, sorrisero.

Sentivo una grande calma spandersi dentro e nuove forze passare dalla sua mano alla mia...

giovedì 6 settembre 2012

Il trapianto di midollo - The bone marrow transplant


Mio fratello e io siamo diversi.

Le nostre date di nascita sono le più distanti: io il 9 giugno, lui il 9 dicembre.
Se l'anno fosse una ruota noi saremmo due raggi contrapposti.

Lui, professionista del compromesso. Io, schiavo del principio.
Io, idealista al limite dell'utopia. Lui, concreto e coi piedi ben saldi a terra.
Più volte ci siamo scontrati, soprattutto da ragazzi.
I nostri punti di vista sono sempre stati molto distanti.

Eppure...

Gli esami hanno parlato chiaro: siamo compatibili al 100%. Abbiamo molto in comune.
E lui, senza esitare, mi ha donato il suo midollo.
Lo ha fatto come fosse un gesto scontato, banale.
Come... allacciarsi le scarpe.

Ha sofferto, mio fratello, dopo l'espianto. Una settimana di dolori alla schiena mitigati dalla morfina.
Ma ai miei messaggi lui rispondeva sempre: "Sto benissimo, fra poco mi dimettono. Tu pensa a guarire!"

Due grosse sacche di sangue midollare: due litri di "Poche storie", di "Non c'è problema" e di "Ti voglio bene".

Una parte di mio fratello ha preso il posto di una parte di me...

Continueremo a scontrarci noi due, ma quel po' di lui che mi porto dentro ora mi spinge a fare sempre uno sforzo in più per andargli incontro...


Mia sorella mi somiglia di più. Le nostre date di nascita distano solo cinque giorni.
È testarda e nervosa, ma ha un cuore grande.

Quando seppe che il suo midollo non era compatibile immaginai che fosse delusa...
Invece era arrabbiata!
Avrebbe tanto voluto essere lei a compiere quell'atto così necessario e allo stesso tempo così simbolico.

...

Passò un anno esatto dal giorno del trapianto e quella sera tutta la mia famiglia si riunì per una cena commemorativa.

Poco prima del brindisi feci con gli occhi un rapido giro del tavolo.
Per ogni sguardo che incrociavo i ricordi si accavallavano: il ricovero, i primi esami, le visite coi calzari e la mascherina, i saluti quando mi trascinavano via spingendo il letto per l'ennesima TAC.
Le centinaia di sms con gli aggiornamenti quotidiani, i piccoli doni per gli infermieri a Natale, i vestiti nei sacchetti sterili all'UTM.
L'arrivo nella stanza della prima grossa sacca di sangue midollare...

E poi: il ritorno a casa, i lunghissimi giorni senza forze sul divano, le frequenti attese infinite per i controlli al day hospital, la rimozione del catetere venoso dal petto e quindi finalmente di nuovo la doccia come si deve...

Poi l'ennesima lenta risalita: i giorni di nausea, i dolori alle gambe, il ritorno al volante dell'auto, le prime ore di lavoro, il sapore ritrovato per il cibo, le scale a due a due...

Un anno dopo il trapianto dovevo tutto ciò che ebbi la forza di fare a coloro che in quell'istante mi guardavano orgogliosi e muti.

Realizzai in quel breve momento di silenzio che ciascuno di essi era stato donatore di qualcosa nei miei confronti. Midollo, certo, ma anche: fiducia, speranza, forza, pazienza, fede, conforto, spirito di sacrificio, tenacia.
Un patrimonio di valori che abbracciando il mio nuovo midollo lo fortificano.

Poi... alzammo i calici... e celebrammo la vita!

mercoledì 5 settembre 2012

Infermieri - Nurses


L'infermiere fa un mestiere difficilissimo.
Occorre grande dedizione e conoscenza.
Deve saper imparare dai propri errori.
E avere spirito di iniziativa.

Ma l'infermiere...

Ti conosce personalmente.
Si ferma un momento a chiacchierare con te.
Ti tiene la mano quando soffri.
Sdrammatizza con una battuta spiritosa.

E poi l'infermiere...

Conforta i tuoi parenti.
Ti pensa mentre torna a casa.
Telefona in reparto se ha un dubbio che ti riguarda.
Parla di te ai suoi figli.

E ancora l'infermiere...

Ti abbraccia quando ti ritrova.
Ti chiama per nome a un anno dalle dimissioni.
Si commuove quando ti vede guarire.
Rivive con te...

Queste persone, questi amici, fanno il loro mestiere anche fuori dal turno.
Si abbandonano ai rapporti umani ben oltre quanto richiesto dal loro contratto di lavoro.
A questi angeli va il mio grazie più profondo, da paziente e da amico.

Nella sfortuna della malattia, incontrarvi è stato un privilegio!



lunedì 3 settembre 2012

La corsa - The race


Via, si parte!

Il passo è misurato, la corsa è lunga.
Cerco un equilibrio fra la cadenza dei passi, il ritmo del respiro e il battito del cuore.
La falcata è regolare, le gambe alternano la spinta.
La strada è larga e liscia, la corsa va...

Con i pugni stretti sembro combattere contro l'aria.
Ora avverto un po' di affanno; reagisco.
L'asfalto cede il posto al sentiero sterrato.
Il contatto col terreno si fa più morbido.

Continuo a forzare, la fatica aumenta.
Cambio il rapporto fra passi, respiro e cuore.
Sento una punta di dolore alla milza.
Stringo i denti e cerco di pensare ad altro.

C'è un altro corridore là davanti.
Allungo il passo e cerco di raggiungerlo.
La nostra distanza diminuisce, sto accelerando o è lui che rallenta?
Lo raggiungo, un altro sforzo e gli sono accanto.

Scambiamo un'occhiata veloce, possiamo essere coetanei.
Il nostro passo coincide, ma io forzo ancora e lo supero.
Ora lui mi segue, gli tiro la volata.
Come due compagni di squadra corriamo ravvicinati.

L'aria mi fa lacrimare gli occhi, la campagna mi appare sfocata.
La bocca è spalancata, mi serve altro ossigeno.
Il mio nuovo amico mi vede in difficoltà, accelera e mi sorpassa: ora tira lui.
Le sue spalle sono magre; anche le mie del resto.

C'è una salita, la fatica aumenta ancora.
Accorciamo il passo, lui adesso non ce la fa.
Passo davanti, ha il fiato rotto temo che stia per fermarsi.
Rallento e mi faccio raggiungere, mantengo il suo passo.

Una goccia! Il cielo diceva pioggia già dal primo mattino...
Le gocce si fanno fitte, i capelli e i vestiti si bagnano.
I piedi ora sbattono su un terreno viscido e fangoso.
Noi continuiamo a correre nonostante tutto.

Poi un ponte e lì, di lato, un tavolo con bicchieri di acqua e limone.
Cambio traiettoria, mi avvicino e ne agguanto uno.
Mi volto e osservo il mio amico fare altrettanto.
Beviamo correndo... ci scappa da ridere.

La strada gira intorno a un albero e prosegue in discesa.
Ora bisogna fare passi cauti o si rischia di scivolare.
E' un buon momento per riprendere fiato.
Il mio amico sembra avere recuperato.

La discesa è lunga e stancante; ho sempre preferito le salite.
La pioggia, intanto, sembra darci tregua.
Le nuvole grigie scorrono veloci, il cielo cambia continuamente.
Allunghiamo di nuovo il passo.

Ora corriamo sul limitare di un grande prato verde e pianeggiante.
Ormai convivo bene con la fatica e vado avanti.
La sofferenza è costante ma controllabile.
Anche il mio amico sembra reggere bene.

Passato un piccolo dosso cambiamo direzione.
Qui c'è un gran vento, bisogna contrastarlo per proseguire.
Istintivamente abbasso la testa per riparare gli occhi.
Le gambe intensificano le spinte ad ogni passo.

Il respiro si rifà affannoso.
E' difficile perfino correre su una linea retta.
Lo scambio di gregario fra me e il mio amico continua.
Chi sta dietro è al riparo dalle raffiche.

Dopo un'ultima curva finalmente torniamo sull'asfalto.
Le strade urbane ci proteggono, il vento è meno teso.
Ci sono persone sui lati che ci salutano.
Una nuova forza raggiunge i nostri muscoli provati.

Il cielo cambia ancora, le nuvole lasciano filtrare un raggio di sole.
Le strade bagnate creano riflessi accecanti.
I nostri passi attraversano le pozzanghere e i marciapiedi.
Ora un grande rettilineo, là in fondo: la folla.

Ci guardiamo felici io e il mio amico.
La sofferenza è finita finalmente.
Acceleriamo ancora e mi prende un blocco allo stomaco.
Trattengo il dolore e spingo ancora.

Stiamo letteralmente volando verso il traguardo.
La gente intorno grida ma io sento solo il cuore battermi nella testa.
Siamo spalla a spalla, l'intenzione è di arrivare insieme.
E al rallentatore tagliamo insieme il nastro di quella corsa così sofferta.

Con le braccia dritte e le mani sulle ginocchia respiriamo affannosamente.
Tutta la fatica dentro sembra voler uscire passando dai polmoni.
Uno sguardo di intesa e un sorriso: ce l'abbiamo fatta.
Mi avvicino e gli dò una pacca sulla spalla, lui fa altrettanto.

- Io Alfonso, tu?
- Alberto
- Ho la leucemia e tu?
- Anch'io
- Farò il trapianto di midollo, mio fratello è compatibile
- Anch'io tre mesi dopo il tuo, anche mio fratello è compatibile
- Beh, Alberto, allora faremo questa corsa insieme, ti va?
- Sì, parti tu. Io ti sto dietro!

venerdì 31 agosto 2012

La vita ritrovata - Life rediscovered



Apro lo sportello, salgo sul sedile e richiudo.
Sì, la posizione è ancora la mia.
Faccio scivolare lentamente le mani sui due lati del volante.
Osservo il cruscotto e lui, immobile ma ansioso, aspetta la mia mossa.
Il pomello del cambio sembra riconoscere la mia mano.
Affondo la frizione e giro la chiave.
Una vibrazione sulla schiena: il motore rivive...
Accendo la radio, un vecchio disco rock di Van Halen: 1984.
Alzo il volume: il secondo pezzo è Jump!
Metto la prima e parto. Piano... poi accelero un po'...
Apro il finestrino, è agosto: la giornata è bella e profuma di buono.
Con la mano plano nel flusso d'aria...

Pausa!
"Buongiorno. Mi fa il pieno per favore?"
"Certo... viaggio lungo?"
"Una vita..."
Riparto!

Ecco Jump... alzo il volume...

Un'occhiata dietro nello specchietto...

La leucemia, la polmonite.
La paura, il dolore, la noia, la nausea.
Le mascherine, le medicine.
Le TAC, le lastre, le ecografie.
Le chemio e la radio terapia.
I valori bassi, la febbre, gli antibiotici.

Lo sguardo di nuovo sulla strada.
Una curva, poi un lungo rettilineo...

Bentrovato mondo, sono stato un po' occupato negli ultimi mesi, ma sono tornato.

Ecco cos'è vivere: pensare, decidere, fare!
E adesso... vivo!


martedì 28 agosto 2012

Resilienza - Resilience


"Sto male... sto molto male...
Ecco, ora forse mi riprendo... no, sto ancora peggio!
Ma come? Uno forte come me? ... ecco... non mi muovo più!
La luce mi dà fastidio, chiudo gli occhi.
Sento nelle orecchie il fischio del sangue che scorre nelle vene.
Mi fa male la schiena: un intenso dolore martellante mi tortura la spina dorsale...
Il sapore di ferro in bocca mi dà il voltastomaco.
Le guance e la gola sono devastate dalla mucosite.
La nausea è a livelli altissimi, tossisco... ora vomito... no: non tocco cibo da giorni...
Sono solo... stringo i pugni senza forza. Non può finire così, non può finire così!
Piango... i singhiozzi si ripercuotono sulla schiena, il dolore aumenta ancora, devo smettere!
Provo un senso di abbandono, di sconfitta.
Dio mio, questa volta non ce la faccio, la vita se ne va... se ne va...
... mi sistemo... sono pronto... aspetto... aspetto..."

E aspettai a lungo... pronto al peggio. Ma il peggio non arrivò...
Mi risvegliai e mi ritrovai ancora lì, sul letto nella stanza dell'UTM.
Guardai verso la finestra. Era l'alba di un giorno nuovo.
La luce del mattino mi diede la speranza per ricominciare a lottare.
E lottai. Ancora. Con tutte le forze che avevo, giurando a me stesso che ce l'avrei fatta.
Fu la fatica più grande e necessaria della mia vita.

La resilienza è la capacità dell'uomo di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rafforzato e addirittura trasformato positivamente.

lunedì 27 agosto 2012

Ai parenti - To relatives


Vi ho visti spesso lungo i corridoi, appoggiati al muro aspettare di poter rientrare nelle stanze.
Vi ho visti impacciati armeggiare con quelle mascherine così difficili da indossare.
Vi ho visti rincorrere i medici con una domanda disperata che non poteva più aspettare.
Vi ho visti piangere silenziosamente in disparte.
Vi ho visti uscire dalle stanze richiudendo la porta con allegria e andarvene quasi saltellando.
Vi ho visti spingere l'asta con le sacche per le infusioni nelle lente passeggiate su e giù per i corridoi.
Vi ho visti circondati dai medici sforzarvi di capire tutte le parole difficili che pronunciavano.
Vi ho visti sorridenti arrivare in reparto con piatti di cibo comprati al ristorante.
Vi ho visti vagare con gli occhi rossi cercando un lavandino per svegliarvi un po'.
Vi ho visti ringraziare uno a uno tutti gli infermieri per la loro umanità.
Vi ho visti carichi di borse fare la spola fra stanza e auto prima delle dimissioni.

A tutti voi che avete condiviso e condividete il pesante carico della malattia con inesauribile forza e volontà voglio dire, a nome di tutti noi che eravamo e siamo sui letti di quelle stanze: grazie!
Quello che avete fatto e fate per i vostri cari vale come una ulteriore terapia.

I medici curano il corpo, voi curate l'anima.

venerdì 24 agosto 2012

La candela - The candle


All'età di quarant'anni si ammalò di una malattia incurabile.
Era  un uomo forte ma quel peso insopportabile lo ridusse in fin di vita.
Sul letto di morte, nella sua mano stringeva quella del figlio: la sua continuità terrena.
Giunse il momento estremo e la sua anima si levò.

Si ritrovò poco dopo in un luogo sospeso e silenzioso.
C'erano grandi candele di cera accese tutto intorno.
Alcune erano alte, altre più basse, consumate.
Certe candele poi erano ormai solo monconi sciolti.

Comparve una figura, un vecchio con lunghi capelli d'argento.
Si avvicinò con la grazia di un angelo e sorrise.
"Benvenuto." disse con voce calda e soave.
"... Salve." rispose l'uomo esitando per la sorpresa.

"Dove mi trovo?" domandò mentre il suo sguardo vagava intorno.
Il vecchio girò lentamente le spalle: "Questo è il vestibolo."
E l'uomo di rimando: "E tutte quelle candele?"
"Ogni candela è una vita." fu la risposta.

L'uomo prese ad osservare alcune fiammelle da vicino.
Una lo incuriosì: la candela era esaurita e la luce flebile tremava.
"Questa?" chiese, senza distogliere gli occhi dallo stoppino.
"Quella è la tua candela. Presto si spegnerà..."

Uno sgomento profondo si impadronì dell'uomo.
Gli parve tutto tremendamente sbagliato.
Prese a fremere fino a quando non seppe più trattenersi.
"La candela è sciolta! Cosa si può fare adesso? Io sto morendo!" 

"Non c'è nulla da fare. Questo è il ciclo naturale delle cose."
Il vecchio gli stava accanto e quasi gli sussurava all'orecchio.
L'uomo continuava a fissare quella debole fiamma malata.
Non gli riusciva di rassegnarsi a quell'infelice destino.

Distolse lo sguardo per un momento. Era di nuovo solo?
Girò più volte su se stesso: "Ehilà? Signore?"
Tacque per avere risposta... un'onda di solitudine lo investì.
Vagò intorno alla sua candela; quelle accanto erano alte e robuste.

Si avvicinò ad una di quelle. Era una delle candele più alte.
La fiamma brillava decisa e costante. Era una bella candela.
Si guardò intorno... Di quel vecchio non c'era traccia.
Afferrò il cero, fece leva e con uno sforzo disperato lo spezzò.

Di nuovo cercò il vecchio fra i cilindri chiari. Non c'era.
Tornò al suo moccolo morente e vi adagiò sopra la candela che aveva strappato.
La sua nuova fiamma ora era alta e forte. Si sentì meglio.
Il vecchio non poteva averlo visto... Poi... tutte le luci si sfocarono...

Alzò le palpebre e la luce del giorno gli inondò la vista.
Si sforzò di non richiudere gli occhi e ci riuscì con grande fatica.
Aveva sognato? Era ancora sul suo letto di morte?
Il dolore per la malattia e lo stordimento per i farmaci erano scomparsi.

Alle sue orecchie giungeva ora un pianto sommesso. Era sua moglie.
L'immagine del pavimento divenne finalmente nitida.
Più vicino scorse le scarpe e i pantaloni scuri. Era vestito di tutto punto.
Girò la testa: sua moglie, accanto a lui, singhiozzava disperatamente.

Guardò allora davanti a sè e l'orrore per ciò che vide quasi lo uccise.
Il corpo del suo unico figlio giaceva immobile in una bara!
Si torturò gli occhi con le mani per cancellare quell'immagine terrificante.
Li riaprì ma nulla era cambiato. Era tutto tragicamente vero.

L'uomo capì che aveva commesso un errore fatale.
La vita che aveva strappato per allungare la propria, era quella del figlio!
Fra le migliaia di candele, il destino lo aveva condotto proprio a quella a lui più cara.
Il senso di colpa lo ammutolì.

Poi, un forte ronzio gli penetrò le orecchie e si sentì mancare.
Le ginocchia non lo ressero e lui si accasciò sul pavimento.
Sua moglie gli si avvicinò inginocchiandosi e cercò di rianimarlo.
Il viso era contratto, la bocca spalancata e muta; ancora una volta il buio gli soffocò la vista...

Quando si riprese si ritrovò seduto su una panchina.
Gli parve di essersi appena risvegliato da un breve sonno.
Cercò di abituare gli occhi alla luce e prese a guardarsi le scarpe e i vestiti.
Indossava leggeri sandali estivi e pantaloni corti chiari.

Il prato davanti a lui era verde smeraldo; alcuni bambini giocavano con la palla. Si trovava in un parco.
Soffiava una leggera brezza estiva e gli alberi intorno frusciavano delicatamente.
Si rese conto di non essere solo sulla panchina; girò la testa.
Riconobbe una folta e lunga chioma d'argento. Il vecchio!

Ebbe un sussulto: "Lei?" esclamò con la voce che tradiva la sua incredulità.
Lui gli rivolse lo sguardo e rispose: "Sì, io. Vengo al parco tutti i giorni..."
"Sì, ma... " non era sicuro di volerne parlare o forse nemmeno di riuscire a farlo.
Si sforzò: "... la candela, la morte di mio figlio... ho sbagliato! Cosa faccio adesso?"

"Figliolo" riprese il vecchio, "La lezione è stata dura ma l'hai compresa...
Hai vissuto la tua giovinezza in salute, hai costruito una famiglia con tua moglie e hai cresciuto un figlio.
Quando ti sei ammalato non volevi dover lasciare tutto questo.
E hai cercato di salvare te stesso anche a costo della vita di qualcun altro. Cos'hai da dire ora in proposito?"

Il vecchio lo fissava intensamente aspettando la risposta...
"Ho capito... che invece di pensare ad allungare la mia vita compromessa, a qualsiasi costo,
avrei fatto meglio ad apprezzare quello che la vita era già stata per me; dall'inizio alla fine.
L'amore dei miei genitori, l'amore di mia moglie, l'amore di mio figlio. Avevo già avuto tutto ma ho voluto di più!"

L'uomo si coprì la faccia con le mani. Si vergognava per quello che aveva fatto e voleva piangere.
Una folata di vento gli scosse i capelli... Separò le dita cercando fra le fessure quel vecchio signore.
Era scomparso ancora una volta! L'uomo era di nuovo solo.
Il sole prese a scendere e il cielo virò all'arancione. Le prime stelle preannunciavano la sera.

Qualcosa lo urtò alla caviglia. Una palla. Un bambino si avvicinò correndo. Era sudato e affannato.
"Papà, ho fame! Andiamo a casa?" L'uomo parve rinascere! Sollevò suo figlio e lo abbracciò forte.
Il petto palpitante del ragazzino martellava sul suo cuore di padre. Restarono così per un lungo istante.
Poi si incamminarono verso casa, mano nella mano, nella luce fioca del crepuscolo...


Mi presento - Why I write


Ciao, sono Alfonso De Prisco e questo è il mio blog. Qui raccoglierò pensieri e brevi racconti. Lo scopo di ogni post sarà quello di indurre la riflessione intorno a un tema.

Sono sopravvissuto alla leucemia. Alcune parti di questo blog sono dedicate a questa esperienza, altre sono più universali. In ogni caso il mio è sempre un messaggio di ottimismo e speranza.

Il tuo intervento con pareri o commenti è sempre benvenuto.
Grazie.

N.B.: Le traduzioni in inglese sono curate dalla mia carissima amica Helen Siro Brigiano.
Grazie Helen!!