sabato 17 maggio 2014

Il terzo anno - The third year


E così oggi è il mio terzo anniversario.

Tre anni fa un ottimo infermiere appendeva un carico di salvezza a un trespolo d'ospedale, accanto a molte altre sacche a testa in giù, mentre io lo osservavo con gli occhi pieni di speranza.

Dentro a quel fagotto rosso sangue c’era una quantità notevole di amore e spirito di sacrificio. Il midollo di mio fratello.

Tre anni fa la mia leucemia veniva lavata via con il fluido più nobile che ci scorre in corpo e qualche colpo di spugna fatta di chemio e radio terapie.

Da allora questa malattia tremenda, per mia grande fortuna, non si è più ripresentata, ma di cose ne sono successe parecchie.

Ho cambiato prospettiva sulla mia vita, confortato anche dalle parole di coloro che hanno avuto la stessa reazione prima di me.

Ho potuto incontrare persone della cui amicizia vado particolarmente fiero e a cui rivolgo spesso un profondo pensiero di gratitudine.

Ho anche dovuto imparare a gestire la stupidità di quelli che fraintendono il racconto di un sopravvissuto e lo prendono per un vanto da esibizione piuttosto che un modo per dire a se stessi ed altri in questa folle situazione: ce l’ho fatta, ce la puoi fare.

E ho realizzato con amarezza che taluni non sono nemmeno in grado di capire fino a che punto una vita può essere sconvolta, così, da un giorno all’altro. Ieri sano, oggi spacciato, domani… forse domani non c’è!

Che questi dal "giudizio in canna" vanno semplicemente scansati. Vivono in una bolla di beata ignoranza e sarà meglio per loro se potranno continuare la loro bella esistenza non sapendo nulla di tutto questo.

Ho perso conoscenti e amici carissimi a causa di malattie gravi come la mia. Li ho visti accettare e affrontare il proprio destino con una dignità che non si riesce a descrivere, e ancora adesso mentre ci penso ho un nodo in gola che non mi fa respirare.

Ho imparato che scampare una volta al rischio di morte può non essere sufficiente: la recidiva è un rischio concreto. E che la notte diventa molto lunga se ti metti a pensare a queste cose.

E poi ho sbattuto il muso contro il fatto che ogni farmaco, ogni terapia, oltre agli effetti voluti, ne provoca sempre anche altri indesiderati. Nella mia precedente vita di “sano inconsapevole” raramente andavo oltre a un bruciore di stomaco o un senso di spossatezza. Le terapie cui mi riferisco possono innescare violente reazioni della pelle, disfunzioni al sistema circolatorio, inibire o alterare gusto, olfatto e udito…
E squassarti le ossa. Io pago il mio tributo con le mie anche, una delle quali da un anno a questa parte è piuttosto compromessa.

E quindi ho preso contatto con una nuova condizione, quella dello “stampellato”. Ho notato quanto questi bastoni colorati possano spaventare le persone e incuriosire i bambini… (e quante volte appoggi le stampelle e loro immancabilmente crollano a terra).

Ho conosciuto una folla di persone che, per le ragioni più varie, alle 7.30 del mattino sono già in acqua a fare fisioterapia.

Ho affrontato il cinismo di certi ortopedici che ti compatiscono per gli sforzi che fai e concludono dicendo che tanto prima o poi passerai sotto il loro bisturi.

E ho capito che spesso un’altra via c’è! Ma devi andartela a cercare da solo perché giova a pochi.

Poi la camera iperbarica e i suoi estimatori e detrattori. Da: “È completamente inutile” a “Può essere miracolosa”. Passando per “Non le farà male. Lei ci vada, poi vediamo”.
La mia esperienza è che il progresso c’è ed è marcato. Ma ho bisogno di molto di più e non so se potrò ottenerlo in questo modo.

Non sono stati tre anni facili. E la battuta “pensa a cosa hai superato, queste sono solo sciocchezze” ha fatto in tempo ormai a riempirmi la testa fino a uscirmi dalle orecchie. Se a un sopravvissuto a un incidente aereo, miracolosamente illeso, bastasse il fatto di avere sfiorato la morte... beh si accontenterebbe forse di restarsene lì, legato al suo sedile per tutta la vita che gli rimane?

Ho tagliato le mie cinture di sicurezza. Io e alcuni fortunati come me abbiamo lasciato quel luogo di tragedia e siamo tornati nelle nostre case. E ora vivo la mia vita aspirando alla migliore qualità possibile senza l’imbarazzo del pensiero costante che per un capello non mi trovo nell'iperspazio.

Lo devo a me stesso e alla mia famiglia.

E ora, un pensiero commosso alle anime che mi osservano... a coloro che lottano e si trovano a metà del guado... e alle figure professionali e umane che rendono tutto questo possibile…

Su il calice: tre anni di vita 2.0.