giovedì 21 marzo 2013

In fila alle Poste - Standing in line at the post office



Con mia moglie all'ufficio postale.
Prendo il numero per il mio turno in fila e mi siedo in attesa.

Mi guardo attorno: gli uffici postali sono cambiati. Anni fa erano luoghi tristi, illuminati con luci al neon. La fila si faceva in piedi, con i bollettini da pagare in mano. E quelle attese così lunghe… per i pensionati era un modo per ritrovarsi e socializzare.
Per i bambini invece era una noia: le mamme li tenevano per mano e loro, dopo avere scambiato un breve sorriso con le persone intorno, protestavano dimenandosi per liberarsi dalla presa.
E gli impiegati… facevano un mestiere ossessivamente ripetitivo, con le stampanti che ronzavano ritmicamente e il tonfo martellante del timbro postale; sempre due colpi alla volta.
Allo sportello c'erano i vetri antirapina e si faticava a capirsi attraverso la fessura…
Lasciare l'ufficio postale era un sollievo: si riguadagnava la luce del giorno e il corso dei propri impegni…

Dove mi trovo ora è tutto diverso. Il soffitto è pulito e vi sono numerose lampade che emettono una bella luce chiara. Sono circondato da scaffali di libri in vendita. Più in là c'è anche il banco di un bazar con una signora che vende piccola cancelleria, portachiavi e pupazzetti per bambini.
C'è una gradevole musica di sottofondo e una diffusa sensazione di serenità, nonostante, essendo sabato, gli addetti stiano lavorando alacremente.
E poi questo efficiente sistema di gestione delle file, con il numero del turno da servire ben visibile sugli sportelli… io ho il mio biglietto in mano… distrattamente ci gioco un po', badando di non stropicciarlo troppo.

La mente, nelle attese, fa percorsi imprevedibili e chissà perché mi ritrovo a ripensare al mio ricovero, alla mia malattia. Forse ancora considero una fortuna insperata il poter condurre una vita normale dopo quello che ho passato. Essere in attesa in un ufficio postale equivale a disporre in piena libertà del proprio tempo, al punto di poterlo addirittura sprecare impunemente aspettando il turno in fila.
Il contrasto con il ricordo di quando invece mi aggrappavo alla vita minuto dopo minuto è forte e mi fa riflettere...
Assorto in questi pensieri faccio appena caso a mia moglie che all'orecchio mi sussurra: "Guarda, c'è il Professore."

Mi volto e scorgo, alle mie spalle, un soprabito. Più su una barba scura… sì è Luppi, il Professor Luppi, Direttore di Ematologia.
Mi alzo, porgo la mano: "Professore, buongiorno… sono… beh, sono un suo paziente" e lui, senza battere ciglio: "Certo, mi ricordo. Buongiorno, come sta?" Ecco… sull'onda emotiva dei miei pensieri risponderei: "Sto talmente bene che faccio la fila in posta!" Ma temo che mi prenderebbe per matto, quindi ripiego su una risposta meno originale: "Sto bene, grazie a lei!"
Poi, nell'arco di un istante, un breve scambio di sguardi che sottendono parole…

- Ecco… il tuo stato di salute è il risultato del nostro lavoro di medici e infermieri, ma soprattutto del tuo impegno…
- So di avercela messa tutta, ma tu hai certamente realizzato e condotto una squadra eccellente di persone motivate e volenterose, senza le quali non avrei mai potuto giungere a tanto.

- Non sempre le cose vanno per il meglio, ma tu sembri avere preso la strada giusta...
- Sai, ora vivo le giornate come fossero un dono. Un pacchetto che apro la mattina per arrivare alla sera. E non dirò mai più che sono sfortunato…

Ci salutiamo: "Mi ha fatto piacere rivederla." "Il piacere è mio, Professore."

… sorrido distrattamente ripensando a quando, al mattino, durante il giro delle visite, si formava il consueto capannello di medici intorno al Professore proprio davanti al mio letto. Sussurravano fra loro a bassa voce.
Io tendevo l'orecchio ma non mi riusciva di catturare il senso dei loro discorsi. Poi, uno prendeva la parola e, in termini comprensibili, mi descriveva la situazione e le cure previste.
Alla fine, dopo il saluto, un ultimo scambio di sguardi...

- Ce la farai…
- Ce la farò!