martedì 22 ottobre 2013

L'ascensore - The elevator


Con un tonfo sordo la grossa borsa impattò sul pavimento.

La giovane ragazza che faticosamente la stava trascinando studiò i bottoni dei pannelli sul muro quando le ante si scostarono e l'ascensore si aprì. Ne uscì una vecchietta che armeggiava con le stampelle seguita da un signore, anche egli anziano, che mostrava un gran sorriso di denti bianchi e allineati.

La ragazza si scostò ricambiando un sorriso accennato, poi sollevò il borsone e con piccoli passi entrò nella cabina dove di nuovo lo gettò sul pavimento senza troppa cura.

Schiacciò il bottone del terzo piano e attese la chiusura delle porte: gli ascensori degli ospedali funzionano con movimenti lenti...

Quando le ante iniziarono a scorrere per chiudersi, apparve dall'esterno una mano femminile che ne afferrò una: "Un momento..." fece una voce oltre la soglia. Le ante si riaprirono e apparve una ragazza, trafelata.

Non aveva capelli né sopracciglia e il viso aveva un colorito grigiastro. Indossava una tuta sportiva ma si vedeva bene che era molto magra.

Ansimava per la corsa: "Grazie. È il terzo giro che faccio. Quando si può tornare a casa, chissà perché lo si fa sempre di corsa... Io vado al terzo piano." La ragazza col borsone rispose: "Anch'io."

L'ascensore lasciò il piano terra e il sole pallido di quel mattino di primavera, iniziando la sua lenta salita verso il cuore del Centro Oncologico.

Giunto poco oltre il primo piano, improvvisamente il pavimento della cabina ebbe un sussulto e l'ascensore si fermò.

La luce interna fece qualche lampeggio fino a quando si spense definitivamente.

"Oh mio Dio, si è fermato!" esclamò la ragazza col borsone.
"Sembra proprio di sì, e non c'è nemmeno una luce di emergenza..."

Seguirono alcuni attimi di buio e silenzio...

La ragazza col borsone frugò nelle tasche e prese il telefono cellulare. La fioca luce bianca del display diede alla cabina dell'ascensore un'atmosfera spettrale... "Non c'è campo!" constatò con un gesto di stizza, dopo aver vagato per alcuni istanti nei quattro angoli della cabina come per raccogliere qualche tacca di segnale.

Poi orientò quella debole torcia improvvisata verso i bottoni dell'ascensore individuando quello con il simbolo della campana e lo premette con forza, insistentemente.

Il tono elettronico di un allarme riecheggiò negli androni a tutti i piani della struttura, anche se all'interno della cabina buia e ovattata dell'ascensore si sentiva appena.

La ragazza col borsone volle dare una rassicurazione: "Ecco, l'allarme suona. Ora verranno a liberarci."

L'altra ragazza rispose: "Stavo facendo l'ultimo giro per poi andare a casa. Il mio telefono è in macchina dove mio marito mi sta aspettando. Speriamo di liberarci in fretta, non posso avvertirlo e..."

Una voce metallica si intromise. Proveniva dal quadro dei bottoni dell'ascensore: "Abbiamo ricevuto la vostra chiamata. Stiamo intervenendo per sbloccare l'ascensore. State tutti bene?"
"Sì, ma siamo al buio" rispose la ragazza del borsone.
"Forse le batterie di emergenza sono esaurite" riprese la voce, "Quanti siete là dentro?"
"Due" rispose sempre lei. "Una di noi ha il marito che la aspetta al parcheggio."
"Non ci vorrà molto. L'ascensore è in sicurezza. Aspettate."
"Va bene ma fate presto" rispose la ragazza facendosi portavoce anche per la compagna di disavventura.

Riaccese il display del telefono puntando la luce verso il basso.
"La mia borsa è piena di vestiti. È comoda. Sediamoci qui."

Si sedettero, vicine, su quella grande borsa sportiva, appoggiando le spalle alla parete metallica della cabina.

"Io sono Chiara..." si presentò la ragazza del borsone. "Io Alessia" rispose la ragazza che era senza capelli.

"Vado su a Ematologia", spiegò Chiara, "ieri mi hanno detto che ho la Leucemia."

Alessia esitò qualche istante, poi parlò: "Mi spiace molto. Io vengo da una Leucemia acuta. Ho fatto il trapianto di midollo poco più di un mese fa e ora sto andando a casa... o almeno spero." Concluse con un sorriso tirato. Aveva un'espressione stanca e apatica, ma si sforzava di non apparire troppo provata.

Nuovamente il display del telefono si spense. "Puoi lasciarlo spento se vuoi", aggiunse Alessia...

E in quella tenebra temporanea le due ragazze presero a parlare e a confrontarsi. Curiosamente il buio eliminava molte delle comuni barriere tipiche di una conversazione fra due persone che non si conoscono.

"Come hai scoperto di avere la Leucemia?" chiese Chiara.
"Una sera cascai svenuta a terra" rispose Alessia, "non ero mai svenuta prima... in tutta la mia vita, intendo. Avevo la polmonite e non guarivo più. Quello svenimento mi parve il segnale definitivo che qualcosa davvero non stava andando per il verso giusto. E così il giorno dopo mio marito mi portò al Pronto Soccorso. Mi fecero un prelievo e mi ricoverarono d'urgenza. E tu invece?"

"Io" disse Chiara, "da diversi giorni ormai mi sento debole e a volte fatico a reggermi in piedi. Ho fatto gli esami del sangue e, visti gli esiti, stamattina sono passata al Pronto Soccorso dove mi hanno detto che ho la Leucemia e che dovevano ricoverarmi. Allora sono corsa a casa a mettere le mie cose nel borsone. Io vivo sola, non potevo fermarmi qui."

Chiara era piena di dubbi e di domande; non aveva idea di cosa sarebbe accaduto alla sua vita nei giorni a seguire: "Com'è stare in un ospedale? Io non ci sono mai stata se non per trovare un'amica che aveva fatto un incidente, due anni fa."

"All'inizio stavo male." disse Alessia, "L'infezione ai polmoni mi provocava livelli di febbre molto alti. Non capivo molto di quello che mi accadeva intorno... Poi col tempo imparai a conoscere medici e infermieri. E ti assicuro che sono persone speciali. Con alcuni di loro ho un bel rapporto di amicizia... Le terapie sono lunghe e pesanti, non te lo voglio nascondere. Però se riesci a conservare l'ottimismo puoi affrontare qualsiasi cosa."

"Vedi Alessia" riprese Chiara, "io sono una persona positiva, anche se faccio sempre casino. Vivo d'impeto e di solito ci rimetto", sorrise, "... tant'è che sono sola. Ma l'ottimismo non mi manca!"

"Sai, ti diranno spesso che con il giusto atteggiamento le medicine funzionano meglio" disse Alessia che con la mente tornava alle fasi più difficili del suo ricovero, "... e scoprirai da te quanto ciò sia vero."

L'attesa sembrava protrarsi più del previsto. Ma non era così spiacevole. Quel momento di grande confidenza serviva a entrambe le ragazze per scaricare parte della tensione accumulata. Una per l'ansia di tornarsene finalmente a casa e l'altra per l'ingresso in una fase nuova della sua vita che le era totalmente sconosciuta.

"Hai mai perso la speranza?" chiese Chiara con un velo di preoccupazione per la possibile risposta affermativa.

"Ho avuto momenti di grande difficoltà" rispose Alessia, "mi sono chiesta come avrei mai potuto superarli... Ma non ho mai pensato veramente di non farcela." La voce di Alessia si fece più dolce: "C'era Stefano, mio marito, sempre accanto a me. È stato un sostegno formidabile. Devo dire che senza di lui sarebbe stato imposs..." Alessia ebbe un'esitazione: pensò a Chiara e al fatto che fosse sola. Temette di essere inopportuna... "Chiara, scusami non volevo dire che..."

"Non preoccuparti" la interruppe lei. "Certo, avere accanto una persona cara è senz'altro di grande aiuto e conforto. Io penserò molto alla mia mamma che da tre anni è il mio angelo custode. Lei saprà proteggermi da lassù."

Quella giovane creatura faceva tenerezza per il modo in cui sapeva girare il mondo in positivo. Alessia pensò che Chiara non poteva immaginare cosa avrebbe dovuto affrontare di lì a breve, ma realizzò anche che quella sua fiducia così solida l'avrebbe aiutata molto.

Di nuovo la voce metallica del tecnico: "Ci siamo. Ora faremo scendere la cabina al piano terra e poi apriremo la porta..."

Con un nuovo sobbalzo l'ascensore iniziò a scendere.

Alessia riaccese il display del telefono. Gli occhi di Chiara brillarono e ad entrambe sfuggì uno sguardo di intesa.

Si aiutarono per rialzarsi dal borsone e attesero ancora qualche istante, poi le ante dell'ascensore finalmente si schiusero e la luce del giorno investì le due ragazze che sbatterono le palpebre proteggendo gli occhi abbagliati con una mano.

Fecero qualche timido passo per uscire dalla cabina e trovarono ad accoglierle il tecnico ascensorista e due infermiere che subito si assicurarono che le ragazze stessero bene.

Alessia chiese in prestito a Chiara il telefono cellulare.
"Stefano... sì sono io, ero bloccata nell'ascensore ma adesso il tecnico l'ha liberato... sì, sto bene... devo ancora salire. Aspettami, quando ho finito arrivo. Sì, a dopo. Ciao."

Restituì il telefono e si rivolse a lei: "Chiara. Avevo giurato a me stessa che non sarei mai più tornata in questo ospedale se non per necessità. Ma se mi permetti di essere tua amica ti verrò a trovare ogni volta che potrò."

E Chiara, con un lieve imbarazzo: "Io... ma certo!"

Sorrisero entrambe e si abbracciarono forte. E in quell'abbraccio ritrovarono la paura e il conforto, l'ansia e la serenità, il buio e la luce, il dolore e la gioia. E la voglia reciproca di rappresentare qualcosa di buono l'una per l'altra.

Fu l'inizio di una nuova grande e solida amicizia.