giovedì 17 luglio 2014

Ce la faccio! - I can do it!


Trascinavo le mie gambe stanche lungo il corridoio. Su e giù. La mano destra chiusa intorno all'asta con le sacche e le bottiglie per le infusioni. Quell'asta con le ruote, compagna inseparabile di mille giri di boa da una vetrata all'altra fra Ematologia e Oncologia.

E osservavo i parenti che entravano pensando ai loro cari. Avevano il passo veloce, loro, e venendomi incontro trafelati mi davano una rapida occhiata. La mascherina, le mie gambe, le braccia magre, l'asta con le sacche appese e la pompa per l'infusione che funzionava a batteria.

Mi giravano intorno badando di non farmi inciampare e proseguivano oltre sui binari dei loro pensieri.

Li vedevo sedersi con un gesto discreto e svelto, in punta alla sedia dell'ingresso. E là infilavano i calzari sulle scarpe e mettevano la mascherina non senza qualche difficoltà.

Una dose o due di disinfettante sulle mani e poi subito in piedi con l'andatura goffa per i calzari scivolosi, in direzione della camera di ricovero.

Tre colpi leggeri con le nocche sulla porta, un sorriso di circostanza e venivano risucchiati oltre la soglia lasciandomi solo con i miei brevi passi incerti in mezzo al corridoio.

E mentre l'orologio sul muro scandiva i secondi io ripetevo un altro passaggio a tornare, prima che la pompa suonasse per la batteria scarica.

Mi mancava la libertà. Volevo uscire di lì, ma soprattutto volevo tornare a poter decidere cosa fare: andare a lavorare, fare la coda nel traffico, ricevere telefonate di amici, scherzare...

Avevo voglia di ridere, come si ride quando la vita è una cosa scontata e non pensi sempre che potrebbe sfuggirti di mano come un pugno di sale.

Ricordo bene quella sensazione.
Un'attesa prolungata e sospesa.
Come trovarsi sotto al semaforo aspettando la luce verde che non arriva...

Se ci penso ora sorrido, ma quei mesi mi segnarono profondamente.

Quando al rientro dai miei giri mi accostavo al letto e con un ultimo sforzo riattaccavo la spina della ricarica della pompa per interrompere il suo bip bip insistente, poi appoggiavo la testa al cuscino e chiudendo gli occhi ripetevo a me stesso: "Ce la faccio! Ce la faccio!"

Ecco, quelle parole che mi accompagnavano fin dentro ai miei sogni lo fanno tuttora. E mi ricordano che si può superare qualsiasi ostacolo, purché si sia disposti a pazientare e a lottare quando è necessario.

Non smetterò mai di essere quella figura esile e barcollante nel corridoio dell'ospedale, nemmeno ora che ho ripreso la mia vita.

Ora come allora so che la vita può riservarmi prove difficili.
Ma ora, come allora, lo so: ce la faccio!