venerdì 31 agosto 2012

La vita ritrovata - Life rediscovered



Apro lo sportello, salgo sul sedile e richiudo.
Sì, la posizione è ancora la mia.
Faccio scivolare lentamente le mani sui due lati del volante.
Osservo il cruscotto e lui, immobile ma ansioso, aspetta la mia mossa.
Il pomello del cambio sembra riconoscere la mia mano.
Affondo la frizione e giro la chiave.
Una vibrazione sulla schiena: il motore rivive...
Accendo la radio, un vecchio disco rock di Van Halen: 1984.
Alzo il volume: il secondo pezzo è Jump!
Metto la prima e parto. Piano... poi accelero un po'...
Apro il finestrino, è agosto: la giornata è bella e profuma di buono.
Con la mano plano nel flusso d'aria...

Pausa!
"Buongiorno. Mi fa il pieno per favore?"
"Certo... viaggio lungo?"
"Una vita..."
Riparto!

Ecco Jump... alzo il volume...

Un'occhiata dietro nello specchietto...

La leucemia, la polmonite.
La paura, il dolore, la noia, la nausea.
Le mascherine, le medicine.
Le TAC, le lastre, le ecografie.
Le chemio e la radio terapia.
I valori bassi, la febbre, gli antibiotici.

Lo sguardo di nuovo sulla strada.
Una curva, poi un lungo rettilineo...

Bentrovato mondo, sono stato un po' occupato negli ultimi mesi, ma sono tornato.

Ecco cos'è vivere: pensare, decidere, fare!
E adesso... vivo!


martedì 28 agosto 2012

Resilienza - Resilience


"Sto male... sto molto male...
Ecco, ora forse mi riprendo... no, sto ancora peggio!
Ma come? Uno forte come me? ... ecco... non mi muovo più!
La luce mi dà fastidio, chiudo gli occhi.
Sento nelle orecchie il fischio del sangue che scorre nelle vene.
Mi fa male la schiena: un intenso dolore martellante mi tortura la spina dorsale...
Il sapore di ferro in bocca mi dà il voltastomaco.
Le guance e la gola sono devastate dalla mucosite.
La nausea è a livelli altissimi, tossisco... ora vomito... no: non tocco cibo da giorni...
Sono solo... stringo i pugni senza forza. Non può finire così, non può finire così!
Piango... i singhiozzi si ripercuotono sulla schiena, il dolore aumenta ancora, devo smettere!
Provo un senso di abbandono, di sconfitta.
Dio mio, questa volta non ce la faccio, la vita se ne va... se ne va...
... mi sistemo... sono pronto... aspetto... aspetto..."

E aspettai a lungo... pronto al peggio. Ma il peggio non arrivò...
Mi risvegliai e mi ritrovai ancora lì, sul letto nella stanza dell'UTM.
Guardai verso la finestra. Era l'alba di un giorno nuovo.
La luce del mattino mi diede la speranza per ricominciare a lottare.
E lottai. Ancora. Con tutte le forze che avevo, giurando a me stesso che ce l'avrei fatta.
Fu la fatica più grande e necessaria della mia vita.

La resilienza è la capacità dell'uomo di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rafforzato e addirittura trasformato positivamente.

lunedì 27 agosto 2012

Ai parenti - To relatives


Vi ho visti spesso lungo i corridoi, appoggiati al muro aspettare di poter rientrare nelle stanze.
Vi ho visti impacciati armeggiare con quelle mascherine così difficili da indossare.
Vi ho visti rincorrere i medici con una domanda disperata che non poteva più aspettare.
Vi ho visti piangere silenziosamente in disparte.
Vi ho visti uscire dalle stanze richiudendo la porta con allegria e andarvene quasi saltellando.
Vi ho visti spingere l'asta con le sacche per le infusioni nelle lente passeggiate su e giù per i corridoi.
Vi ho visti circondati dai medici sforzarvi di capire tutte le parole difficili che pronunciavano.
Vi ho visti sorridenti arrivare in reparto con piatti di cibo comprati al ristorante.
Vi ho visti vagare con gli occhi rossi cercando un lavandino per svegliarvi un po'.
Vi ho visti ringraziare uno a uno tutti gli infermieri per la loro umanità.
Vi ho visti carichi di borse fare la spola fra stanza e auto prima delle dimissioni.

A tutti voi che avete condiviso e condividete il pesante carico della malattia con inesauribile forza e volontà voglio dire, a nome di tutti noi che eravamo e siamo sui letti di quelle stanze: grazie!
Quello che avete fatto e fate per i vostri cari vale come una ulteriore terapia.

I medici curano il corpo, voi curate l'anima.

venerdì 24 agosto 2012

La candela - The candle


All'età di quarant'anni si ammalò di una malattia incurabile.
Era  un uomo forte ma quel peso insopportabile lo ridusse in fin di vita.
Sul letto di morte, nella sua mano stringeva quella del figlio: la sua continuità terrena.
Giunse il momento estremo e la sua anima si levò.

Si ritrovò poco dopo in un luogo sospeso e silenzioso.
C'erano grandi candele di cera accese tutto intorno.
Alcune erano alte, altre più basse, consumate.
Certe candele poi erano ormai solo monconi sciolti.

Comparve una figura, un vecchio con lunghi capelli d'argento.
Si avvicinò con la grazia di un angelo e sorrise.
"Benvenuto." disse con voce calda e soave.
"... Salve." rispose l'uomo esitando per la sorpresa.

"Dove mi trovo?" domandò mentre il suo sguardo vagava intorno.
Il vecchio girò lentamente le spalle: "Questo è il vestibolo."
E l'uomo di rimando: "E tutte quelle candele?"
"Ogni candela è una vita." fu la risposta.

L'uomo prese ad osservare alcune fiammelle da vicino.
Una lo incuriosì: la candela era esaurita e la luce flebile tremava.
"Questa?" chiese, senza distogliere gli occhi dallo stoppino.
"Quella è la tua candela. Presto si spegnerà..."

Uno sgomento profondo si impadronì dell'uomo.
Gli parve tutto tremendamente sbagliato.
Prese a fremere fino a quando non seppe più trattenersi.
"La candela è sciolta! Cosa si può fare adesso? Io sto morendo!" 

"Non c'è nulla da fare. Questo è il ciclo naturale delle cose."
Il vecchio gli stava accanto e quasi gli sussurava all'orecchio.
L'uomo continuava a fissare quella debole fiamma malata.
Non gli riusciva di rassegnarsi a quell'infelice destino.

Distolse lo sguardo per un momento. Era di nuovo solo?
Girò più volte su se stesso: "Ehilà? Signore?"
Tacque per avere risposta... un'onda di solitudine lo investì.
Vagò intorno alla sua candela; quelle accanto erano alte e robuste.

Si avvicinò ad una di quelle. Era una delle candele più alte.
La fiamma brillava decisa e costante. Era una bella candela.
Si guardò intorno... Di quel vecchio non c'era traccia.
Afferrò il cero, fece leva e con uno sforzo disperato lo spezzò.

Di nuovo cercò il vecchio fra i cilindri chiari. Non c'era.
Tornò al suo moccolo morente e vi adagiò sopra la candela che aveva strappato.
La sua nuova fiamma ora era alta e forte. Si sentì meglio.
Il vecchio non poteva averlo visto... Poi... tutte le luci si sfocarono...

Alzò le palpebre e la luce del giorno gli inondò la vista.
Si sforzò di non richiudere gli occhi e ci riuscì con grande fatica.
Aveva sognato? Era ancora sul suo letto di morte?
Il dolore per la malattia e lo stordimento per i farmaci erano scomparsi.

Alle sue orecchie giungeva ora un pianto sommesso. Era sua moglie.
L'immagine del pavimento divenne finalmente nitida.
Più vicino scorse le scarpe e i pantaloni scuri. Era vestito di tutto punto.
Girò la testa: sua moglie, accanto a lui, singhiozzava disperatamente.

Guardò allora davanti a sè e l'orrore per ciò che vide quasi lo uccise.
Il corpo del suo unico figlio giaceva immobile in una bara!
Si torturò gli occhi con le mani per cancellare quell'immagine terrificante.
Li riaprì ma nulla era cambiato. Era tutto tragicamente vero.

L'uomo capì che aveva commesso un errore fatale.
La vita che aveva strappato per allungare la propria, era quella del figlio!
Fra le migliaia di candele, il destino lo aveva condotto proprio a quella a lui più cara.
Il senso di colpa lo ammutolì.

Poi, un forte ronzio gli penetrò le orecchie e si sentì mancare.
Le ginocchia non lo ressero e lui si accasciò sul pavimento.
Sua moglie gli si avvicinò inginocchiandosi e cercò di rianimarlo.
Il viso era contratto, la bocca spalancata e muta; ancora una volta il buio gli soffocò la vista...

Quando si riprese si ritrovò seduto su una panchina.
Gli parve di essersi appena risvegliato da un breve sonno.
Cercò di abituare gli occhi alla luce e prese a guardarsi le scarpe e i vestiti.
Indossava leggeri sandali estivi e pantaloni corti chiari.

Il prato davanti a lui era verde smeraldo; alcuni bambini giocavano con la palla. Si trovava in un parco.
Soffiava una leggera brezza estiva e gli alberi intorno frusciavano delicatamente.
Si rese conto di non essere solo sulla panchina; girò la testa.
Riconobbe una folta e lunga chioma d'argento. Il vecchio!

Ebbe un sussulto: "Lei?" esclamò con la voce che tradiva la sua incredulità.
Lui gli rivolse lo sguardo e rispose: "Sì, io. Vengo al parco tutti i giorni..."
"Sì, ma... " non era sicuro di volerne parlare o forse nemmeno di riuscire a farlo.
Si sforzò: "... la candela, la morte di mio figlio... ho sbagliato! Cosa faccio adesso?"

"Figliolo" riprese il vecchio, "La lezione è stata dura ma l'hai compresa...
Hai vissuto la tua giovinezza in salute, hai costruito una famiglia con tua moglie e hai cresciuto un figlio.
Quando ti sei ammalato non volevi dover lasciare tutto questo.
E hai cercato di salvare te stesso anche a costo della vita di qualcun altro. Cos'hai da dire ora in proposito?"

Il vecchio lo fissava intensamente aspettando la risposta...
"Ho capito... che invece di pensare ad allungare la mia vita compromessa, a qualsiasi costo,
avrei fatto meglio ad apprezzare quello che la vita era già stata per me; dall'inizio alla fine.
L'amore dei miei genitori, l'amore di mia moglie, l'amore di mio figlio. Avevo già avuto tutto ma ho voluto di più!"

L'uomo si coprì la faccia con le mani. Si vergognava per quello che aveva fatto e voleva piangere.
Una folata di vento gli scosse i capelli... Separò le dita cercando fra le fessure quel vecchio signore.
Era scomparso ancora una volta! L'uomo era di nuovo solo.
Il sole prese a scendere e il cielo virò all'arancione. Le prime stelle preannunciavano la sera.

Qualcosa lo urtò alla caviglia. Una palla. Un bambino si avvicinò correndo. Era sudato e affannato.
"Papà, ho fame! Andiamo a casa?" L'uomo parve rinascere! Sollevò suo figlio e lo abbracciò forte.
Il petto palpitante del ragazzino martellava sul suo cuore di padre. Restarono così per un lungo istante.
Poi si incamminarono verso casa, mano nella mano, nella luce fioca del crepuscolo...


Mi presento - Why I write


Ciao, sono Alfonso De Prisco e questo è il mio blog. Qui raccoglierò pensieri e brevi racconti. Lo scopo di ogni post sarà quello di indurre la riflessione intorno a un tema.

Sono sopravvissuto alla leucemia. Alcune parti di questo blog sono dedicate a questa esperienza, altre sono più universali. In ogni caso il mio è sempre un messaggio di ottimismo e speranza.

Il tuo intervento con pareri o commenti è sempre benvenuto.
Grazie.

N.B.: Le traduzioni in inglese sono curate dalla mia carissima amica Helen Siro Brigiano.
Grazie Helen!!