giovedì 18 aprile 2013

Una casa nuova - A new house


Giro la maniglia e la porta si apre. La stanza sembra vuota. Una pianta di ficus con le foglie lucide mi accoglie, immobile.
Mi siedo su una poltroncina scura davanti a un basso tavolino di cristallo su cui vi sono alcune riviste dagli angoli sgualciti.
Dietro le tende chiare a liste verticali un sole primaverile bisticcia con uno strato di nuvole alternando luce e ombra. Il silenzio è scandito dal leggero ticchettio dell'orologio sulla parete: le 9.15.
Sulla porta dello studio c'è una targhetta: Elisa Levi - Psicologa.
È una brava dottoressa, Elisa. La apprezzo molto per i sui modi semplici ma efficaci di andare diretta al punto.

Uno scatto improvviso: la porta di ingresso gira e appare Elisa, trafelata, con una pesante borsa professionale in mano mentre parla con il telefono cellulare incastrato nell'incavo della spalla: "Pronto? Sì, sono arrivata in questo momento…"
Con un sorriso e un'occhiata mi saluta, e facendo cenno con l'indice sollevato scompare oltre la porta del suo studio.

Cala il silenzio, sono di nuovo solo…
Riemerge il ticchettio dell'orologio: le 9.20.

Poi, un tono elettronico lacera quella quiete temporanea: il citofono.
Dalla porta dello studio nessun movimento: Elisa dev'essere ancora al telefono…
Il citofono suona di nuovo. Mi alzo e mi avvicino all'apparecchio.

È un videocitofono: nel piccolo schermo l'immagine di un ragazzo con gli occhiali sembra fissarmi dritto negli occhi.
Un attimo di esitazione e sollevo il ricevitore... La voce del ragazzo: "Elisa, sono Luca. Scusa il ritardo: sono caduto col motorino..." Schiaccio subito il pulsante di apertura e ripongo la cornetta.
Con una certa ansia spalanco la porta di ingresso e attendo l'approssimarsi dei passi sulle scale...

Poco dopo, oltre il pianerottolo, emerge la sagoma in controluce del ragazzo con un casco infilato al braccio. Zoppica leggermente e si massaggia il gomito mentre, con lo sguardo abbassato, scruta le proprie gambe cercando forse un possibile strappo alla stoffa dei pantaloni…

"Ho risposto io al citofono, Elisa è impegnata al telefono. Va tutto bene?" gli chiedo dalla soglia della porta.
Lui alza gli occhi e, dopo una breve interdizione per avere colto una voce inattesa, risponde: "Credo di sì... mi fanno un po' male il ginocchio e il gomito ma sto bene..."

Lo aiuto a muoversi, appoggio il casco sul tavolino e gli faccio cenno in direzione di una delle poltroncine. Lui si siede, scarica la tensione con un respiro profondo e si prende una breve pausa…
Per fortuna sembra non essersi fatto nulla di serio.

Poi si ridesta: "Avevo un appuntamento alle 9.15, che ore sono?"
"Sono… le 9.25. Strano: avevo un appuntamento alle 9.15 anch'io" gli rispondo, "Elisa si sarà sbagliata?"

"Non saprei... Io sono qui perché fatico a dormire" riprende Luca, "E tu?"
"In un certo senso anch'io."
Non so perché non gli accenno della mia malattia, di solito non ho problemi a parlarne. Forse temo di innescare una di quelle assurde conversazioni dove vince chi sta peggio...

"Sai" continua lui, "Il terremoto…"
"Ah, certo. Ti capisco."
… sì, il terremoto.
Qui in Emilia lo scorso terremoto è stato un evento terribile e psicologicamente devastante.
Luca riprende il discorso: "… già dopo la prima scossa io non sono più riuscito ad addormentarmi serenamente. Mi ha colto nel sonno, come tanti del resto: era notte fonda."
Io annuisco e lo ascolto attentamente. I ricordi di quei terribili momenti riaffiorano come se stessero aspettando sotto il pelo dell'acqua di uno stagno addormentato… Non erano, tuttavia, i miei ricordi della scossa di terremoto. Erano bensì i ricordi della mia malattia, a cominciare dall'istante in cui la dottoressa, accostandosi al mio letto di ospedale, mi disse che avevo la leucemia.
Come un terremoto in piena notte, mi capitò quel tragico evento in "piena vita". Avevo quarantadue anni, ero sano e forte.  E quel macigno inaspettato mi investì.
Luca prosegue: "Ricordo che mentre nel buio realizzavo che si trattava davvero di un forte terremoto, una domanda mi risuonava nella testa: perché? Perché?
Ma non c'era spiegazione. Il terremoto arriva così: inatteso, senza una ragione, senza un segnale.
E quella degli animali che si agitano prima della scossa a me è sempre parsa una favola..."
Sì, ricordo anch'io quella domanda: perché? Perché mi ero ammalato di una malattia così grave? Dove potevo avere sbagliato qualcosa? Nemmeno un segnale, un dettaglio che indicasse che stavo calandomi in un pozzo così profondo? Non sapevo nulla della leucemia e quei dubbi mi straziavano.
Ancora Luca: "E poi la casa, le mie cose... Tutto si muoveva, si agitava. Mi sentivo piccolo e impotente in un mondo arrabbiato che sfogava la sua ira tutto intorno.
La mia casa, la mia sicurezza, si era trasformata in un nemico, un pericolo per la mia sopravvivenza."
Già… Accorgersi che  una parte di noi stessi ci si rivolta contro è terribile. Il corpo, la sede della mia anima, barcollava pericolosamente mettendomi in pericolo di vita. E io, là dentro, senza via di uscita dovevo cercare il muro portante e stargli accanto aspettando la fine di quell'evento devastante.
Luca fa una pausa. Ora i suoi ricordi si fanno più vivi: "La casa era fortemente compromessa. Abbiamo dovuto abbatterla fino alle fondamenta. Quel periodo fu molto difficile: non riuscivo a restare lucido davanti alla prospettiva di distruggere tutto, anche quel poco che sembrava essersi salvato."
Nel periodo pre trapianto, durante la fase di preparazione, si provoca l'aplasia midollare. Chemio e radioterapia distruggono gli elementi che costituiscono il midollo malato e così si creano i presupposti per insediarne uno nuovo, per la ricostruzione ematologica.
In quel periodo così grave le mie condizioni fisiche crollavano per le cure. Era l'abbattimento della mia casa per poterla poi ricostruire su fondamenta nuove.
Durante il suo racconto Luca vaga con lo sguardo tutto intorno, come davanti a un film invisibile. Gesticola plasmando l'aria per dare una forma ai suoi ricordi. Ora serra i pugni: "La notte era sempre brutta. Chiudere gli occhi sperando che non arrivasse un'altra scossa era impossibile. Poi la stanchezza prendeva il sopravvento."
La stanza dell'UTM, l'Unità Trapianti di Midollo, è piccola e raccolta. Il silenzio è scandito dal rumore meccanico delle pompe per le infusioni. Là si è soli con se stessi e bisogna trovare la forza e il coraggio per andare avanti.
Ricordo che ogni volta prendevo lucidamente la decisione di addormentarmi. E lo facevo affidandomi consapevolmente alla speranza che mi sarei risvegliato qualche ora dopo. Non era una certezza, ma tanto doveva bastare per continuare a crederci.
Luca si sistema sulla poltroncina massaggiando il ginocchio dolorante. Il tono della sua voce si fa meno grave: "Il bello della ricostruzione è che non si è soli. Arrivarono molte persone: la protezione civile, i vigili del fuoco, parenti, amici. Anche sconosciuti volenterosi. E tutti collaboravano per perseguire uno scopo comune. Certo, la situazione restava gravissima e c'era tanto da fare, ma lo spirito era di grande solidarietà e fratellanza."
Il mio pensiero va a chi mi stava intorno in ospedale. Persone che facevano un mestiere, certo, ma che mettevano sempre qualcosa in più sul piano personale e umano. Medici e infermieri, professionisti instancabili, lavoravano fianco a fianco per lo stesso obiettivo. Ma anche i parenti e gli amici più cari; sempre presenti, sempre disponibili e discreti.
Mia moglie, come un soldato, sempre accanto a me, mi infondeva fiducia e speranza, anche quando era ben difficile sperare. Il mio compagno di stanza, con cui ho condiviso momenti buoni e meno buoni: discese e risalite.
E mio fratello. Così diverso da me, per rivelarsi poi, invece, il migliore donatore possibile. Il suo midollo ora è anche il mio…
Ancora un breve silenzio… il ragazzo si fa serio. Evidentemente un pensiero lo turba: "Quando percorro le strade e passo davanti alle case, alcune distrutte, altre sfigurate, altre puntellate, mi si stringe un nodo in gola. Penso alle persone che ora vivono nella paura e nel disagio. Penso a coloro che hanno perso tutto. Non mi riesce di attraversare le vie del mio paese senza pensarci ogni volta. E il senso di una profonda malinconia si rinnova."
Già. Rivivere le proprie esperienze terribili, anche solo nei ricordi, mette angoscia. Quando passo davanti al Policlinico non riesco a non pensare a chi in quel momento vi si trova ricoverato o al lavoro. La sera, soprattutto, le luci accese attraverso le finestre dell'ospedale mi ricordano che c'è qualcuno là dentro, qualcuno che sta lottando contro i propri mostri. E che altre anime buone stanno facendo turni di lavoro lontani dalle proprie famiglie, dando tutta l'assistenza medica e umana di cui sono capaci…
Un grosso respiro e Luca accenna un sorriso: "Ma per fortuna le case nuove sono robuste e belle. Anche la mia.
Non posso escludere che ci saranno altri terremoti e nemmeno che questa casa non crollerà mai, ma almeno so che le cose distrutte si possono ricostruire."
Forse il senso sta tutto qui! Non si può sperare di non ammalarsi mai. Ciò che invece ci si può augurare è che esista un modo per ricostruirsi. Magari dopo avere abbattuto i resti di quanto era stato insultato dalla malattia. Magari dopo avere raggiunto il limite della sopravvivenza in condizioni fisiche estreme. Ma comunque rigenerarsi, rialzarsi, rivivere.
La porta dello studio si socchiude e il viso sorridente di Elisa fa capolino: "Scusate il ritardo: telefonata impegnativa. Vedo che avete fatto amicizia… di che parlavate?"
"Di terremoti e altri disastri" rispondo io, poi aggiungo: "Elisa, avevi fissato entrambi i nostri appuntamenti alla stessa ora, ti sei sbagliata?" e lei, con enfasi: "Non so, dillo tu. Mi sono sbagliata?"
Realizzo che forse… Luca non era lì per caso. Sorrido…

Le parole di Luca mi avevano riaccompagnato dall'inizio alla fine della mia difficile esperienza. Il parallelo fra malattia e terremoto era incredibilmente pertinente: avevo rivissuto passo passo il mio percorso nel suo racconto, seppure apparentemente così differente…

E ora una immagine mi appare, lampante.

La mia nuova vita è la mia nuova casa.
La mia nuova casa è la mia nuova vita.