mercoledì 12 novembre 2014

24 novembre - November 24


Mi reggevo in piedi a fatica. Mia moglie mi affiancava e parlava con l’infermiere all’accettazione del Pronto Soccorso.
Lui prese un modulo in bianco e iniziò a scrivere i miei dati: nome, cognome, data di nascita…

Terminate le pratiche di ingresso mi fu assegnato il codice verde e mi fecero varcare la soglia del reparto.
Mi misero disteso dicendomi di aspettare e prima di lasciarmi solo, tirarono una tenda intorno al perimetro della mia barella.

Fu un’attesa lunga. Dapprincipio ero attento alle voci che mi circondavano. Era un andirivieni continuo. Le voci non erano tante, potevo seguire i discorsi. Parlavano dei turni di servizio di fine anno. Era il 24 di novembre, presto sarebbe stato Natale.

A poco a poco gli occhi si chiusero e mi addormentai...

Mi sentii scuotere una spalla e la luce del soffitto mi abbagliò.

“Deve fare una radiografia al torace.” disse un infermiere con un leggero accento del sud.
Era quello che si lamentava perché gli era capitato il turno peggiore.

“Non so se mi reggo in piedi” risposi.
“Ecco guardi, le dò una sedia a rotelle.” rispose l’infermiere accostando al letto una vecchia carrozzella con le imbottiture di plastica.
Mi aiutò a trasferirmici sopra e prese a spingere con passo veloce.

Percorremmo alcuni corridoi, tutti vuoti, fino a quando raggiungemmo l’ambulatorio di Radiologia.
Mi piazzò su un lato, davanti alla porta chiusa, mi disse di attendere e salutando col palmo della mano se ne andò.

In quel corridoio deserto, sentivo solo il ronzio delle luci al neon…
Le linee regolari sul pavimento inducevano la vista a percorrere tutta la prospettiva fino al punto più distante.
E sui muri, a mezza altezza, si estendevano le protezioni paracolpi per le barelle.

Non ero affaticato, ma avevo il fiato corto… stranamente...
Corto. Sempre. Più. Corto…

Cercai di alzare gli occhi al soffitto perché sembrava che la luce stesse affievolendosi.
Una coltre scura calò dall’alto e una miriade di stelle brillanti presero a danzarmi negli occhi.

Capii subito che stavo per svenire.

Sapevo che la posizione seduta non fosse la migliore per evitare uno svenimento: era molto importante tenere la testa in basso, restare distesi, meglio ancora con le gambe sollevate. Ma ebbi paura di buttarmi sul pavimento. Paura di sbattere la testa o di rompermi qualcosa cadendo.

Sollevai i piedi e appoggiai i talloni sulla protezione per le barelle. Ero seduto a un livello più basso quindi le gambe andavano effettivamente verso l'alto. Sperai che potesse bastare. Poi cercai per quanto mi fosse possibile di reclinare la testa all'indietro e di abbassare il tronco.

Provai con una mano a tirare il freno della carrozzella che tendeva ad indietreggiare, ma nella concitazione non mi riuscì di trovare la leva. Così afferrai i cerchi di metallo delle ruote e serrai forte le mani per bloccare la carrozzella.

Rimasi così, immobile, per alcuni lunghi istanti, con i denti stretti per lo sforzo...

Poi quel velo oscuro lentamente si sollevò e tornai a mettere a fuoco le immagini davanti a me.
Anche il viso di quel medico che aveva aperto la porta e dalla soglia, con un’espressione stupita per avermi trovato in quella strana posizione, mi fece: “Prego entri, tocca a lei…”

Mai parole furono più profetiche.
Toccò senz'altro a me.

La radiografia evidenziò un grosso focolaio nel polmone sinistro.
Avevo una grave polmonite.

Una dottoressa mi fece un prelievo di sangue arterioso dal polso: l'emogasanalisi.
Fu piuttosto doloroso: l'ago non trovava l'arteria e la dottoressa fece diverse manovre per "cercarla".

Quel gesto di scavarmi dentro e prelevare qualcosa, da allora va ripetendosi, solo in forme diverse...

E l'esito di quell'esame del sangue fu ben più serio della seppur grave polmonite.
Il mio sistema immunitario era totalmente fuori controllo.

Avevo sì una grave infezione ai polmoni, ma soprattutto avevo la leucemia!

Chiamarono mia moglie: “La situazione è disperata. Non sappiamo se ce la farà...”

A volo d’aquila, ecco cosa successe poi...

La polmonite guarì grazie a tanti antibiotici e molti giorni di “ginnastica polmonare” con una macchina odiosa.
Poi passai alla malattia più spaventosa. Feci alcuni cicli di chemioterapia in preparazione del trapianto, e qualche giorno prima dell'evento affrontai la radioterapia.

Poi mio fratello con un gesto altissimo mi donò il suo midollo salvandomi la vita.

Da allora, per mia grande fortuna, la malattia non si ripresentò più.

Ma qualcosa era successo. Le terapie hanno sempre degli effetti collaterali.
Nel mio caso mi provocarono due osteonecrosi che letteralmente “grattugiarono" la testa del femore di entrambe le anche.

Il secondo anno dopo il trapianto iniziai a camminare con le stampelle.
I chirurghi ortopedici mi dissero subito che non c’era alternativa per me: avrei dovuto operarmi di protesi d’anca bilaterale.

Non mi arresi all’idea e tentai tutto l’umanamente possibile: agopuntura, camera iperbarica, magnetoterapia, idrochinesi, manipolazioni, osteopatia... Dopo un anno e mezzo qualcosa migliorò ma non fu sufficiente.

Ora mi accingo a farmi operare. E proprio nei giorni intorno al 24 novembre, quel fatidico anniversario, quattro anni dopo, ancora una volta mi scaveranno dentro per togliere qualcosa che ha smesso di funzionare...

Lo so, non ho il diritto di pretendere che la mia esperienza di paziente finisca qui e che mi sia garantita la serenità per il resto della vita.
Ma non tollererò più l’idea di dover affrontare con disinvoltura nuove prove in nome del fatto che sono stato forte una volta superando di peggio.

Se non potrò evitarlo, lo farò. Perché va fatto.


All’uscita dal tunnel che temeva non avrebbe più lasciato, il viandante proseguì per la strada aperta.
E la natura, che in quel tratto lo sferzò con il vento e la pioggia, gli parve bella e clemente nonostante tutto.




1 commento:

  1. Guardarmi dentro, nonostante tutto. La natura è bella, nonostante tutto. Tu mi illumini la via, nonostante tutto. Alfi, sono lì. Nel letto vicino a tenderti la mano

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